“Ho dimenticato il cappotto di pannonero vecchio alla fermata del pesce,
ovvero dell'andamento discendente del verso nello sconfinamento nel nulla. È la
tensione del vuoto come campo esperienziale che si rivela nella pratica di
queste poesie di Maurizio Leo. Alla luce di un discorso antologico che ospita
opere, che spaziano dalla poesia alla critica, dalla prosa poetica alla
modulazione cronachistica, raccolte fra il settembre del 1991 e il maggio del
2015 sulla rivista Il Bardo, fondata
dallo stesso Leo, occorre considerare come l’incasellamento delle parole
produca e/o risponda ad un effetto di vuoto che permette l’allestimento della
parola sulla pagina. Dare corpo e forma a questo vuoto, da una parte, lasciare
che le parole ci sprofondino, dall’altra, è la condizione liminale di una
poesia che passando dall’esperienza della Beat
Generation americana percorre in lungo e in largo certe istanze, a questa
sempre legate, tipiche del pensiero orientale – che va ad interessare appunto
l’intelaiatura della parola – fino a modulazioni di matrice surrealista e,
ancora, germinate in progress dalla poesia francese in un senso più ampio e nei
cui territori l’autore sembra muoversi con disinvoltura. Maurizio Leo raccoglie
a piene mani gli stimoli dei poeti Beat,
dalle istanze culturali e quelle ritmiche, dalle geografie spazio-temporali a
quelle esistenziali. L’incedere jazzistico della parola poetica, il ritmo
incalzante del verso, una poetica fluidificata nell’automatismo del pensiero (di
chiara discendenza surrealista, con riferimento puntuale a Breton) che aggira
il blocco diurno della ragione e sposta l’asse dell’azione poetica su di un
piano liminale, poi precoscienziale, che pare strizzare l’occhio agli strumenti
offerti dal Kerouac teorico nei Fondamenti
della prosa spontanea (1957). L’attenzione verso la sonorità della parola
poetica affonda le proprie radici, in modo ampio e organico, nella letteratura
francese. È secondo un percorso che dal “gergo nuovo” del Kerouac de I Sotterranei arriva dritto al verso
asintattico surrealista, spostando e ampliando il raggio d’azione dalla
letteratura americana alla tradizione francese. Delle successioni sillabiche,
sconnesse, modulate nelle esperienze fonetiche del movimento Dada e poi ne I Sotterranei di Kerouac, Maurizio Leo conserva l’attenzione per la
sonorità della parola letta fin nelle sue sillabe, senza sconfinare nel nonsense estremo, mantenendo viva e
integra la parola. Questa è giocata nel verso come fosse un’isola, una
costellazione di mondi che in diverse prove deriva dall’assenza di una
consecutio logica volta a determinare una apertura di immagini eteroclite e
plurivoche.” (dall’introduzione di Francesco Aprile)
Maurizio Leo è nato nel 1959. Vive
e opera a Copertino in provincia di Lecce. Da circa 25 anni porta avanti con
immensi sacrifici di impegno e di tempo una piccola casa editrice I Quaderni
del Bardo. Ha pubblicato: L’Uac (Il Muro, Sondrio, 1984); Fobia (Odes Ed.,
Lecce, 1990); Nel volo del proprio inconscio (Ed. di Immaginale, Copertino, 1992);
Dogmaginazione (I Quaderni del Bardo, Copertino, 1994); L’Albergo di Latta (I
Quaderni del Bardo, Copertino, 1995); Fobia (I Quaderni del Bardo, Copertino, 1998);
Non suona più il jukebox nell’appartamento di Allen (I Quaderni del Bardo,
Copertino, 2002); Il bazar delle parole scomposte (I Quaderni del Bardo,
Copertino, 2005); Il cimitero di memoria (Luca Pensa Ed., Cavallino, 2005); Ha
rinchiuso le parole (Ed. Il Raggio Verde, Lecce); Del gatto delle fusa e del
suo strusciamento (Lupo ed. , Copertino, 2007). Nel luglio 2014 ha ricevuto per
i suoi meriti editoriali il premio Millenium nell'evento ''L'Olio della poesia''
iQdB
edizioni di Stefano Donno (i Quaderni
del Bardo Edizioni di Stefano Donno)
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Sannicola (LE)
Redazione
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Editor Poesia
– Francesco Aprile
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