Questa volta il libro
“L’osceno del villaggio” di Paolo Vincenti fa tappa a Squinzano. Il volume sarà
presentato, sabato 18 giugno 2016 alle ore 19.30, nella splendida cornice del
Palazzo De Castro, a cura dell’Associazione cittadina “Al centro”. Presenta il libro, l’avvocato Claudio
Casalini. Introduce, il referente dell’associazione “Al centro”, Gianni Marra.
Intervento della redattrice del periodico locale “Totem”, Erica Fiore. Gli
interventi musicali sono affidati al giovane cantante Antonio Cotardo. L’antologia,
composta da 53 articoli, apparsi su alcune riviste salentine dal novembre 2014
al febbraio 2016, raccoglie più di un anno di riflessioni “oscene” legate al
villaggio globale, al mondo. Il nostro Osceno esplora i comportamenti
stereotipati, le contraddizioni ed il basso profilo culturale che
caratterizzano la società globale, sorridendone pur sentendosi parte di essa. Prefazione
di Melanton
Buon viaggio nel
villaggio. C’è sicuramente un mio piccolo ‘alter ego’, riconoscibile e forse
neanche così piccolo, in Paolo Vincenti, scrittore ottimo, e congiuntamente
poeta, per quel suo modo lieve e forte, e spesso anche lirico, d’osservare e
raccontare il mondo e la vita: con cortesia e armonia, con acutezza, ma anche
con ironico e sapido senso del gioco. Così come ho già fatto anch’io, e faccio
ancora, forse più con la matita che con la penna, ma il concetto, infine, non
cambia di molto. Spero, e ne sono anzi certo, che l’accostamento gli sia
gradito. D’altronde, l’avermi invitato a leggere/scrivere di lui lo comprova. Più
leggo Paolo, più egli evoca le mie mai perdute giovinezze e curiosità, con
varie analoghe sperimentazioni letterarie di ieri come di oggi, sempre foriere
di scoperte, conoscenze, sorrisi, conquiste e coscienza critica, proponendole
intanto senza speciose accademie, per congenito e schietto piacere personale, e
sempre congiunte al sanguigno desiderio di condividerle serenamente con il
lettore, come in un incontro di festa. Rabdomante di parole sorgive – quelle
che servono per umettare appena la mente e il cuore, lasciando a chi legge ogni
libero variabile completamento con le proprie modulazioni sentimentali – è
Paolo Vincenti. Egli ha il pregio non comune di attrarre alla sua scrittura e
alle sue folgoranti ispirazioni, chiunque vi si accosti, per volere o per caso,
producendo un’istintuale commistione di emotività, curiosità e sapere, e
rilasciando infine, tramite l’incanto delle parole, un senso quasi tattile di
arricchimento e rigenerazione. Una dovizia offerta a piene mani, generosa e
sincera. «La sperimentazione continua, forse un’ansia sempre insoddisfatta» –
rivela Paolo – «mi portano a scrivere testi molto diversi fra loro, e rendono
difficile riunire materiali eterogenei in una raccolta che abbia caratteri di
organicità, unicità, completezza». Mi permetto di dissentire. Proprio nella
diversità ed eterogeneità io trovo, invece, una sorta di affascinante (e assai
colto) fil rouge, che lega solidamente quei preziosi e pur dissimili appunti,
osservazioni, riflessioni, arguzie o note di costume, elevandoli da misurati
‘frammenti’ a corposi ‘sentimenti’ di vita, in un’organica ed elevatissima
testimonianza esistenziale-umanistica. Lo registra ampiamente questo libro
perfetto (dal pregnante e caustico titolo L’osceno del villaggio), che a buon
diritto si pone accanto alle opere migliori di altri autorevoli saggisti,
scrittori e maestri di letteratura o di giornalismo moderno. In più c’è la
musica. È l’altro fil rouge che collega e perfeziona le variegate proposizioni
di Paolo Vincenti, sempre o quasi introdotte dai versi di un cantautore dei
suoi preferiti (Dalla, Vasco Rossi, Paolo Conte, Venditti, Vecchioni,
Jovanotti, Bennato...). Non un semplice vezzo, bensì una motivazione aggiuntiva
– quando non perfino ispiratrice – per meglio e più consistentemente avviare e
sviluppare le proprie tematiche, tanto da considerarla «...una compagna di
viaggio preziosa per me da una vita, al pari della letteratura». Ben oltre i
contesti specifici (in qualcuno entreremo a curiosare volentieri più avanti),
emerge decisa, e quasi prepotente, la sensibilità di Vincenti per fatti di
cronaca non effimeri né banali; o per storie di vita agra che rilasciano tracce
di amara dolcezza; ma anche per eventi che sommuovono la coscienza e
partecipazione civile, in un’analisi energicamente espressa e utilmente
partecipata, trasfondendo i propri umori, sentimenti, rabbie, speranze o
ragioni al proprio lettore: il quale, come nel classico concetto espresso da
Indro Montanelli, è per chi scrive il vero compagno e giudice ultimo.
Pur nella
consapevolezza del proprio valore, fa altresì onore a Paolo Vincenti la sua
umiltà di fondo. Confida: «Anche se a volte affronto temi di drammatica
attualità, lo faccio con il sorriso sulla bocca, con la leggerezza di chi non
si prende mai sul serio. Io intendo la letteratura come intrattenimento e
divagazione... E sempre, anche quando affronto temi particolarmente importanti,
mi ritengo un disimpegnato. Il mio approccio ai fatti di cronaca e di politica,
ai mezzi di comunicazione, all’invasione tecnologica, alla barbarie linguistica
e alla deriva di questi nostri tempi, non è quello dell’accademico che non
sono, certamente non è quello del sociologo o del filosofo, ma semmai quello
del letterato...». Si può credere a tale confessione d’innocenza? Certamente,
sì. Senza riserva alcuna. Se le modalità espressive di Paolo Vincenti sono fra
le più moderne ed esemplari di una letteratura d’avanguardia, priva di orpelli
formali e densa invece di contenuti e sollecitazioni (utili e fors’anche
indispensabili a ‘sentire’ il mondo pulsante intorno a noi, in rapida e spesso
non convincente evoluzione), l’essere intimo di questo scrittore giovane e
antico è – molto naturalmente – uno scrigno esuberante di sentimenti da condividere
in purezza e semplicità. Come quando si tira tardi con gli amici ad aspettare
l’alba, parlando liberamente di tutto e di nulla, sentendosi infine più solidi
e fortificati. E, soprattutto, più uomini. Forse oggi non ce la farei – come in
passato ho fatto più di mille volte – a riempire la notte di parole e di
pensieri, con un amico o con cento, nelle piane di maggese o di tabacco di
Torrepinta o sulle scogliere delle Quattro Colonne di fronte al mare e al faro
di Gallipoli o a Bordighera e a Tolentino (e in vari luoghi extra moenia, ma
non estranei), o infine da moccioso nelle piane metapontine di San Basilio a
Pisticci, con mio padre, esule per lavoro, che m’insegnava a riconoscere fra
milioni di stelle il Grande Carro, l’Orsa Maggiore.Un nulla, allora, ci
divideva dal cielo. Ed è lo stesso pensiero che mi sovviene ora, pensando
proprio a quello che scrive Paolo Vincenti, e a come lo scrive. Con lui, e
radunando altri eletti, riproverei probabilmente a fare ancora mattino, andando
e riandando, in nessun dove e dovunque. Certo, il Salento può stargli adesso
troppo stretto. Adesso, dico, perché immagino che il suo furore letterario e
quell’ansia sempre insoddisfatta di cui si diceva all’inizio lo pressino ora da
molto vicino, lusingandolo a cogliere nuovi orizzonti. «Oltremare è l’anelito,
il desiderio per rotte che nessun comandante ha tracciato, per traguardi che
nessun equipaggio sa indicare o soltanto immaginare», scrive Paolo ai Salentini,
e comunque a se stesso. Quien sabe? C’è probabilmente un Ulisse in ognuno di
noi. Anche questo anelito verso
l’avventura e l’inconoscibile è un altro segno del mio ‘alter ego’ in Paolo. Ma
non avrei consigli da dare. Ognuno è se stesso. Una è la scelta. Quello che
sicuramente posso offrire, a lui come ai suoi fedeli e sempre ammirati lettori
di cui mi sento parte, sono alcune mie illustrazioni e vignette (alcune, credo,
molto conosciute, altre del tutto inedite e specificamente realizzate per
questo libro), con il serio proposito – mi auguro confortato dal gradimento di
chi legge – di offrire un ironico, e a suo modo anche filosofico, complemento
di divagazione. Buon viaggio nel villaggio, cari amici. (Melanton.)
Appuntamento sabato 18
giugno 2016 a Squinzano, per una serata all’insegna della satira e della
riflessione.
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