Poeta dello “squario”*
Leccese. La poesia di Umberto Valletta offre più spunti di meditazione che di
consolazione; sposta l’asse della partecipazione più sulla bilancia di una
agrodolce filosofia che sul piano del godimento estetico. E ciò perché il
piacere della lettura è nella offerta inerme di una esperienza di vita
esattamente circoscritta nella parentesi dell’esistenza, nella nicchia di un io
spietato per la sincerità ma anche sublimato dalla docile accettazione
dell’essere in sé, senza debiti o risentimenti, senza memorie e senza attese:
poesia del vivere, poesia del confiteor. La si potrebbe rapportare all’ambito
di un orizzonte epicureo, se non ci fosse il fondamento d’una religione
sublime, d’una fede che giustifica e impreziosisce i limiti di un’esistenza
cresciuta e consolidata su se stessa, al di fuori dei parametri delle
imitazioni e della tradizione letteraria pura e semplice. Più confessione,
quindi, che invenzione; più abbandono che artificio. Si potrebbe discutere
all’infinito se ciò basti di per sé a far nascere una poesia; ma è anche vero
che quella dei letterati puri ha sempre qualcosa di artificiale, ubbidisce a un
canone che rinvia al sottinteso di un’esperienza ri-creata, affidando alla
parola-se possibile- il miracolo d’una nuova nascita, d’una nuova vita. Qui,
invece, ci troviamo di fronte ad un’esperienza compiuta, ad una decisione che
cancella le esitazioni delle possibilità. Anche gli ermetici hanno parlato di
poesia come vita, intendendo con ciò che era la poesia a farsi vita; in Umberto
Valletta , invece, è la vita a farsi poesia, è la vita che rinuncia ai suoi
orpelli per farsi integralmente palpito di una energia che giustifica se
stessa. Per fare ciò essa non può che esibire la sua povertà, l’inerme
abbandono a un atteggiamento di confessione che ha qualcosa di religioso perché
profondamente umano. (dal primo intervento introduttivo del Prof. Donato Valli
– Già Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi
di Lecce. Già Magnifico Rettore della stessa Università. Nonché critico della
Letteratura Italiana)
“Lui è un tipico caso
dell’intellettuale-artista “fuori le righe” che tutti trascurano, per il suo
modo di esistere, perché per lui l’arte è connaturata all’esistenza. Questo è
un bene, ma, per la maggior parte dei casi, lo si paga sulla pelle, sulla vita.
E sulla professione. I versi di Umberto sono confessioni senza mediazione
alcuna, quasi espressioni automatiche perché riflettono, fotograficamente, il
suo vissuto e il suo pensiero. Per questo alternano squarci di poesia a momenti
di discorsività razionale nella quale si cerca il senso delle cose e di
un’esistenza frammentata. Sono ragionamenti d’amore (non come l’eros osceno di
Pietro Aretino). Sono frammenti, anche, di un discorso amoroso (Roland Barthes)
o ragionamenti sull’ethos, sull’esistenza. (dal secondo intervento introduttivo
del Prof. Giovanni Invitto Professore di Filosofia ed Estetica all’Università
degli Studi di Lecce)
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Umberto Valletta
Architetto (U.V.A.)
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