venerdì 27 febbraio 2009

Amélie Nothomb, Causa di forza maggiore, Voland

Amélie Nothomb è una autrice di culto in Francia e lo sta diventando anche nel nostro Paese. Corretta e seria nei suoi rapporti con la prima casa editrice italiana che l’ha scoperta e tradotta, Voland, non ha mai abbandonato questo marchio per passare a un altro con maggiore diffusione e visibilità. Non ne ha bisogno. E la Voland ha fatto un accordo con la Guanda che sta ripubblicando i titoli già editi dell’autrice belga, in edizione economica nelle Fenici Tascabili, ma mantenendo, con buona pace di tutti, ogni diritto di pubblicazione delle sue opere. Disponibile a incontrare il pubblico, a rispondere a ogni domanda, con pazienza, è anche sommersa di doni (strana abitudine dei suoi fans, poco diffusa in ambito letterario), pensieri, fotografie, e-mail. Non è cinica né scostante, e neppure fredda. Il suo dark è limitato a un certo aspetto, che non fa “paura”. Non è minuta come può apparire in fotografia, è “normalmente” pallida, come lo sono tante donne europee, non si atteggia a scrittrice maledetta, sorride spesso e ha l’aria consapevole e matura di una donna della sua età, non più giovanissima. È un’autrice che ha scritto 55 romanzi ma ne ha pubblicati molti meno, dunque è anche dotata di una certa dose di autocritica che le fa scegliere con attenzione tra i suoi testi quelli più adatti alla pubblicazione, forse quelli più riusciti e completi.
Ha una passione letteraria compulsiva: legge ogni tipo di autore, è curiosa di tutto. E la sua formazione di lettrice ha radici “antiche”, come lei stessa racconta proprio in questo libro. Incredibile che i suoi libri pre-adolescenziali siano stati I miserabili, La cire verte di Colette, Il padiglione d’oro di Mishima, La certosa di Parma, L’altrui mestiere, Se questo è un uomo, La metamorfosi di Kafka e Le ragazze da marito di Montherlant.
Torniamo alla fame per riprendere in chiusura l’inizio della biografia: probabilmente, come scrive la Nothomb, l’unico popolo che non conosce la fame è quello delle isole dell’arcipelago Vanuatu (un luogo che “sembra quasi non interessi a nessuno”), dove non manca nulla, dove il nutrimento si trova senza fatica, e la vita è talmente facile da diventare noiosa. Tutto ciò che arriva da quella parte di mondo è insipido, privo di personalità e interesse. Perché? Perché “quella gente non sogna il cibo”, non ha mai avuto fame, dalla notte dei tempi. Sarà davvero così? La fame è l’essenza della vita, della creatività, del passato e del futuro?

Di Giulia Mozzato
(www.wuz.it)


L'ulitma pubblicazione della scrittrice per Voland è Causa di forza maggiore nella traduzione di M. Capuano

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