sabato 16 gennaio 2010

Mitili e Cenere (Edit Santoro) di Annamaria Cenerini. Intervento di Carlo Spinelli

Mitili e Cenere, i trentatré componimenti poetici di Annamaria Cenerini esprimono un elevato uso della parola poetica, lì dove la poesia è sapiente scrittura naturale della parola essenziale che, come tale, non rimanda oll’oggetto che nomina, come direbbe Mallarmé, così caro all’autrice. Una poesia che diviene profonda sensualità e piacevole percorso di percezioni e di memoria, nella musicalità avvolgente dei versi che, pur liberi, concedono gradevoli assonanze e allitterazioni, nel fluido procedere di un linguaggio che sovente cede il passo agli enjambement. E il risultato finale è un ritmo continuo, un succedersi di suoni che nella mente arrivano quasi a configurarsi in un alternarsi del cerchio e della linea, così come si avvicendano da una parte il sacro, nel profondo desiderio di trascendenza (e il desiderio si fa vegetazione) e dall’altra l’immanenza del quotidiano, che si vuole conquistare alla stregua di tanta razionalità invocata, intravista nella disposizione dei libri sui ripiani squadrati e inseguita come un farmaco, (…) un ordine alfabetico da reiterare come monotone litanie domenicali. Tutte le poesie esprimono una sensibile tensione poetica nel raffinato tentativo di aspirare all’apollineo ordine delle cose, fuggendo dal caos naturale della percezione. Situazioni della vita quotidiana assurgono al più alto rango del sentire poetico, attraverso una sensualità che non ha più il corpo per oggetto della sua percezione, come nella precedente inedita produzione, ma la natura, con la quale l’autrice vive quasi un processo di identificazione dall’eco dannunziana (vorrei… esser nata oleandro o aloè); una natura che si fa parola poetica e ineluttabile nutrimento: parole che lievitano, che sanno di sale e rovi, parole impastate con farina di rose e acqua di ninfee; una parola poetica che, nel quasi rimorso di non aver potuto regalarla alle persone care che non ci sono più, continua a svolgere la sua antica funzione eternatrice. Pertanto questi versi svelano anche il loro contenuto metapoetico, come anche nelle voragini delle parole o nel groviglio dei pensieri che si fa ricordo e lei, divenuta bambina, rincorre schive galline prolifere di uova deposte altrove/altro tempo altre parole. E’ esplicito il ricorso ad una parola che sprofonda a recuperare innumerevoli significati, collocandosi in altri luoghi, altri tempi; divenendo, quindi, una parola “altra”. E da luoghi lontani, ancora una volta la natura restituisce la memoria di un’infanzia felice, come il profumo del mallo acerbo di quel noce che ombreggia il gioco di Tita e Francesco. Ma al di là del mallo e il noce, altre immagini simboliche si aggiungono da subito, dopo l’apertura salmodiante del primo breve componimento (Beati coloro che hanno verità e disegni definiti…). E così la luce e l’acqua, di cui la poetessa vuole nutrirsi, vanno a scomodare inveterati archetipi che preludono alla figura di un dio e di un divino intesi in senso umanistico, utili a superare l’immanenza. E ancora, l’antico giardino dei desideri, che nella nostra cultura arriva a confondersi con l’orto, ci regala mediterranei profumi familiari di salvia, menta e prezzemolo; peperoni, arance e limoni; percezioni totali che arrivano al sinestetico profumo biancastro del gelsomino materno. E poi la civetta e la gazza, il gufo e la rondine. Tutti simboli che rimandano ai quattro elementi naturali, ad eccezione del fuoco che compare indirettamente attraverso il sale che, estratto dall’acqua mediante evaporazione, altro non è che un fuoco liberato dalle acque. Il sale, così carico di significazioni, rimanda ancora una volta alla figura di Cristo (Matt. 5,13) e al suo valore di forza e salvezza; al concetto di purificazione e, più di tutto, a quello di una trasmutazione (fisica, morale, spirituale): il sale conserva gli alimenti ma può anche distruggere per corrosione. Ecco perché, nel suo ultimo avvertimento metapoetico, appreso nella famigliare fucina materna, Anna Maria suggerisce quel ‘sale quanto basta’, quasi ad indicare una certa parsimonia nell’uso della parola poetica, in sintonia con quella tenue luce che poche ore dopo/ il tramonto regala ombra/ e poi il silenzio agguerrito/ contro la parola urlata.

casa editrice: http://www.editsantoro.it/index.asp

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