Nell’ambito della rassegna
“Periferie romane: ieri, oggi” venerdì 12 aprile 2013 alle ore 17,00 ci sarà la
presentazione presso il CONSIGLIO METROPOLITANO di ROMA nella Casa della Città
Autogestita in Via Giovanni Giolitti, 231 a Roma, la presentazione del volume “Vita
di Borgata. Storia di una nuova umanità tra le baracche dell’Acquedotto Felice
a Roma” di Roberto Sardelli edito dalla casa editrice salentina Kurumuny.
Interverranno Roberto Sardelli autore del volume Vita di borgata; Enzo Scandurra
autore del volume Vite periferiche. Solitudine e marginalità in dieci quartieri
di Roma. Discutono con gli autori, Gualtiero Alunni, Gaia Pallottino, Lorenzo
Romito.
Alla fine degli anni Sessanta
(1968) un giovane prete, don Roberto Sardelli, fresco di seminario, formatosi
poi alla scuola di don Milani, si è battuto per il riscatto esistenziale e
morale dei baraccati di Roma. Coerente con la sua scelta di vita decise di
andare a vivere nelle baracche vicino all’Acquedotto Felice proprio perché tra
i baraccati, i suoi veri parrocchiani, più autentica sentiva la sua missione:
don Roberto abbandonò ogni tipo di copertura clericale, ogni privilegio, e
testimoniò una condivisione della loro esistenza, delle loro incertezze, delle
loro speranze, delle loro lotte. Scrive don Sardelli “occorreva aprire una
pagina completamente nuova che restituisse dignità alla scelta di un prete e
dignità alle persone cui egli si rivolgeva” e “incidere su una coscienza
narcotizzata dallo stigma dell’esclusione. Ridestare dal sonno la coscienza e
condurla a mostrare con orgoglio quello che si era nella realtà e a non
nascondersi umiliati, coperti di vergogna”.
Così animato da “un lampo di
follia creativa” Roberto Sardelli fondò la Scuola 725, cosiddetta dal numero civico della baracca
che la ospitava, e propose lo studio come leva per uscire da una situazione
umiliante in cui la città li aveva gettati. Studio a tempo pieno: non solo per
recuperare gli anni perduti in una scuola pubblica che li considerava ragazzi
perduti ma aiutare quei giovani a prendere coscienza della situazione che li
aveva discriminati con l’obiettivo di riconquistare dignità e umanità a chi era
stato relegato ai margini della società.
Questo obiettivo fu recepito e un
giorno i ragazzi della Scuola 725 scrissero una lettera aperta al sindaco
Clelio Darida per denunciare la grave situazione abitativa per la quale la loro
comunità soffriva da troppo tempo. Uno dei paragrafi di questa lettera recita
così: “Il luogo dove viviamo è un inferno. L’acqua nessuno può averla in casa.
La luce illumina solo un quarto dell’Acquedotto. (Dopo venticinque anni, nel
1970, è arrivata la luce elettrica. L’abbiamo presa con un attacco abusivo. Per
questo siamo stati tutti denunciati dal Comune). Dove c’è la scuola si va
avanti con il gas. L’umidità ci tiene compagnia per tutto l’inverno. Il caldo
soffocante l’estate. I pozzi neri si trovano a pochi metri dalle nostre
cosiddette abitazioni. Tutto il quartiere viene a scaricare ogni genere di
immondizie a cento metri dalle baracche”. Nonostante siano passati anni
dall’esperienza della Scuola 725, Vita di Borgata è un libro attuale, che,
mutatis mutandis, ci racconta quelli che sono ancora oggi i problemi di un
Paese che annaspa e fatica a trovare una via d’uscita da una crisi che non è
solo economica ma soprattutto culturale, etica e sociale. Don Roberto ci
insegna che la scuola è prioritaria sempre, anzi maggiore è il disagio
socio-economico e maggiore è la necessità di un luogo dove si formino le
coscienze, dove acquisire gli strumenti per la propria emancipazione, per
costruire il proprio futuro, dove imparare a declinare la propria libertà. E
quelle baracche dove vivevano cittadini italiani, in buona parte abruzzesi di
origine, sono state sostituite altrove da altre baracche, dove vivono altri
cittadini italiani ma di un’etnia diversa: i rom. E dalla parvenza di legalità
delle murature realizzate tra gli archi dell’Acquedotto Felice si è passati
all’illegalità da sgomberare delle lamiere messe insieme a ridosso delle sponde
dell’Aniene o nei vuoti urbani, negli spazi abbandonati al degrado, da ripulire
senza troppi scrupoli. “Proprio ora occorrono lampi di follia creativa.
Purtroppo noto in giro troppe braccia penzoloni e altre pronte a rattoppare i
guasti isolati e moltiplicati dalla crisi… Addormentati dalla cultura
amnestica, non siamo più in grado di attingere dal “fu” e di raccogliere quel
filo rosso che abbiamo lasciato cadere, ma che solo ci permetterebbe di
ritrovare la follia là dove, impaurita, si è annidata. Ci resta difficile
capire che la profezia ha il suo terreno di cultura nella privazione. Insomma
viviamo un tempo triste, ma è anche l’occasione buona per costruire, e la
scuola resta lo spazio principe per dare radici al progetto”.
Info
Kurumuny - http://www.kurumuny.it/
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