Conosco Donato Di Poce
da quel dì. Un ‘dì’ misurato più in termini di libri che di tempo, e infatti
furono i suoi “Aforismi satanici” ad attirare la mia attenzione. Non tanto
perché risultassero trasgressivi quanto s’insinuava, ma perché mi trovai di fronte
ad un pregevolissimo esempio di aforisma poetico, uno stile ancora assai poco
praticato e - Alda Merini, Alberto Casiraghy e pochissime altre eccezioni a
parte - espresso perlopiù confusamente, tanto da non avere né i tratti
dell’aforisma, né quelli della poesia. Di Poce, invece, grazie al suo stile
raffinato, così musicalmente sintetico, m’indusse a scoprire sia la sua
importante dimensione di poeta, sia quella dell’aforista: del virtuoso della
‘forma breve’ che, più tardi, sarebbe diventato il rappresentante per
eccellenza del ‘Poesisma’. Da allora ad oggi sono passati molti e molti libri,
nessuno dei quali mi è parso distante o alieno da quell’impronta tipicamente
‘dipociana” che rappresenta una firma inequivocabile. Un esempio? È facile. La
siglatura di Donato si trova abbondante anche in questo libro-manifesto dove
l’aforisma non è fine a se stesso, ma diventa veicolo per illustrare un’idea.
(Prefazione “Scintille di CreAttività” di Donato di Poce, di Anna Antolisei)
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