Quando l'arte diventa un mezzo per raccontarsi e per mostrarsi autentici, anche nel farsi cogliere da un lieve rossore, dato da un piccolo moto dell'animo o dal palpitare del cuore per un amore ricambiato. Quando con l'arte si cerca di attirare l'attenzione verso tutto ciò che sembra anonimo e che ci sfugge. Quando l'arte è denuncia delle condizioni della donna, e non solo. Quando l'arte è poesia e colore.
mercoledì 17 dicembre 2008
Margherita Macrì, Madeleine
Così avvenne che io mi svegliai e non è già più mattina.
Così avvenne che io mi svegliassi ed era il tempo lento della domenica pomeriggio.
Così accadde che io mi sveglio e la mia stanza si arreda da grande isola pedonale.
E sulle isole pedonali è tutta una vaga lentezza: i dispositivi di puntamento sono i colpevoli delle macchie sui mattoni bianchi.
Quanto acido in questo risveglio. ieri ho battuto la testa su vino viola e oggi i capelli sono impigliati dovunque e per terra e ai piedi del letto.
La notte non è passata bene. Da un po’di giorni, da quando la sera aspettare che un’auto s’accosti fa gelare le cosce e incrinare i polpacci. Nessun sogno fatto bene. Mi sembrava di aprire gli occhi indovinando l’abat-jour accesa . Spegnere. Richiudere. Poi aprire gli occhi sul serio. Luce ancora accesa. Spegnere davvero. Arrancare tra flanella disordine.Infinito vivaio di lumini e tentoni.
Non devo più scordare i collant ai piedi quand’è notte. Mi occorre un po’ di forza di volontà per sfilarlI con il gelo. Immagini il guadagno la mattina? Non avere i piedi stretti indolenziti in un calore esasperato, un poco gonfi e soffocati.
Come puoi tu credermi in vendita? Guardami, parlami ora che sono tutta arruffata, toccami ora che schiaccio sul cuscino il mascara di queste sere rientrata stanca e intirizzita.
Amami adesso che ho fissato i piedi su quest’isola pedonale dove il tuo finestrino abbassato non può arrivare.
Tutto mi preme sui fianchi, mi offende l’immobilità, i passi detonano nelle mie orecchie, e lattine calci cani a digiuno accelerate disgusti occhiate beffarde. Cos’è? Non avete mai guardato come s’attaccano le cosce sotto una stringa acida di lurex verde? Dovreste ricoprire la terra di morbido velluto o un asfalto insonorizzante. Assorbite questa strepitante cavalcata tacco 12 per 80kg, marmocchi frignanti, mamme inasprite, stizzite dalla mia ceretta completa, serrande a metà, vergogna automobili blu, non parlarmi di cinema indipendente.
“quanto ci vuole per ammazzarvi tutti?” Basterebbe ch’io vi guardassi negli occhi, e kalashnikov . Un istante per vedervi morire. Basta veramente poco per vedervi morire, tutti giù, uno dietro l’altro come domino d’avorio e salsa ketchup. Qui si nasce per disperazione. Qui si nasce per maledizione, e si resta a pugni chiusi. Dalla culla alla bara.
E io ora ho bisogno di un kalashnikov, anche solo una baionetta, una pietra pomice, che son nata in malafede, devo uccidervi tutti. Disossarvi poco a poco, come fa la pioggia ai vostri balconi di tufo.
Ora vengo anch’io giù tra le righe dove nasce l’erba, dove gli uomini sono ipnosi, immobili più dei cavalli di bronzo.
È forse questa pesante umidità, questa estenuante avidità, questa arrangiata bellezza. e che ora vorrei una goccia di limone negli occhi che duri abbastanza da farmi scendere le scale. Io. Te . le tue ossa rotte che ti fanno grande ed infelice.
Se scendo giù senza le scarpe è solo perché so che non t’incontrerò, né te né le tue troppe parole di uomo un po’ morto.
Ti dovrei cavare gli occhi quando mi guardi. Chissà cosa vedi che non ti piace. E neanche tu mi piaci poi troppo. O forse si, che ti vorrei un po’ rigare, come la automobili nuove.
E allora adesso lo trovo questo kalashnikov, e vengo giù ad ammazzarvi tutti. Tutti, tanti piccoli colpetti nello stomaco e nei denti. voi. vi ammazzo tutti. Voi che ridete del mio dire amore, voi che mi alzate la gonna così, per diletto, voi che non conoscete la vergogna delle mie ginocchia storte.
Io vengo là che devo farvi paura, paura che le finestre non si aprano più, paura di rimanere per sempre fissi in questa maledetta chiusura al traffico.
Voi siete tutti un po’ morti perché non avete voglia di sparare.
Voi siete tutti un po’ morti perché tenete le scarpe l’estate.
Voi siete tutti un po’ morti perché sto venendo giù a farvi saltare il cuore.
Voi siete crocifissi in un grande magazzino e speriamo che nessuno abbia passato la cera sulle scale.
fonte iconografica da Hi-Foto per la rassegna "Sul Filo dell'ombra"
titolo "Di uggiosa ombra"
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