“Senza Storie”, edito da Besa nella Collana “Nuove Lune” (pagg. 154, € 14,00), è l'ultima boutade che Luisa Ruggio ha donato, come altra parte di sé, ai suoi lettori. Trentatre racconti brevi. Credo poco alla numerologia e altre similari scienze e parascienze, ma se i numeri contano qualcosa (e io, l'ho detto o lo ripeto ancora, ci credo all'unica condizione che rivelino dei contenuti...), allora tra la scrittura di questa raccolta di “Storie” di numeri ne troverete quanti volete: tutti quelli della vita e, financo, della morte. Ché non si può discernere la prima ignorando la seconda. Ché si può apprezzare in tutte le sue espressioni la vita soltanto se non s'incorre nella presunzione di credersi immortali. Ché l'unica immortalità è data dal vivere sino in fondo e autenticamente ogni istante prima della fine. La fine, così, può segnare un altro inizio. E non c'è nulla di religioso (in senso canonico) in quanto affermo. Se volete, paradossalmente, è quanto di più religioso abbia mai detto. Ché la religione (scevra da pregiudizi, definizioni e timori) è cogliere le contraddizioni dell'esistenza. Anzi delle esistenze. E scommetterci sopra. Donando il meglio di sé. Ch'è quel che si è! Luisa Ruggio è tante cose, tante esistenze, tanti respiri, molte delusioni, parecchie gioie, una manciata di felicità, qualche nodo irrisolto, angoli bui, piazze piene di luce e Amore. Ma, soprattutto, è scrittura. Ché tutto quel ch'è Luisa, tutto quel che c'è d'intorno a Luisa, tutto quel che dentro Luisa s'agita, tutto diventa scrittura. E la scrittura, come espressione di quel ch'è stato, ch'è e che ancora sarà del Suo vivere, è il meglio di Luisa, è il meglio che può dare a chi vuol leggerla... Con quest'unico dubbio: non so sino a che punto la Sua scrittura è vissuto e quando -invece- diventa desiderio di vita o premonizione del divenire. Di storia in storia, esergo dopo esergo, citazione dopo citazione, troverete nei racconti che leggerete tutto quel che l'Autrice ama di più e che di più la fa soffrire: dal cinema alla letteratura, dalla musica alla pittura, in una sequenza di giorni dal sapore autentico in ogni soffio di canzone, in ogni scena rubata a un film, in ogni dialogo estrapolato da un litigio tra vicini, in ogni istante di tristezza fermato in una nota, in ogni momento di violenza quotidiana, in ogni ricordo che non può promettere più nulla, in ogni contatto che mai più sarà, in ogni cosa di quest'andare verso l'Amore che, sì (haivogliaadire!), c'è, dannatamente c'è, grazie a dio c'è! Attraverso infiniti passi c'è. È tante cose. E una soltanto. Il segreto per comprendere questo e il luogo in cui dimora, Luisa Ruggio lo conosce e lo rivela, sol che si sappia trovarlo nella Sua scrittura. Già, una volta ancora: la scrittura: quella di chi, come me, vorrebbe essere capace di rendere (come mezzo per dare se stesso a chi continua -a ogni sole che sorge, come a tutte le notti che arrivano- a dipingere di luce questo schifoso triste barattare l'anima con la mercificazione imperante dell'acquista usa e riempi i cassonetti dell'immondizia... e del tutto a ciò sotteso e/o teleologicamente connesso...), vorrebbe distillare parole per disvelare un'altra via possibile, senza la presunzione d'indicarne il cammino. Luisa Ruggio possiede questo segreto. Cercatelo nei racconti di questo libro, il più bello scritto dall'Autrice, proprio per la scrittura in cui è reso e che non m'impegnerò a spiegare... sappiate, però, ch'è un distillato di parole. Un distillato di parole. Un distillato di parole. Ottenuto senza alcuna alchimia, ma dopo lungo procedimento iniziato con dolorosa spremitura di visioni, di ascolti, di pensieri, di letture, di momenti di colori diversi in cui predomina il porpora: quello della passione: quello che ti fa fare qualunque cosa in cui credi davvero come se fosse l'ultima che fai. Lo stesso delle parole usate da Truffaut per dire quel che aveva appreso da Rossellini: “O faccio questo film o crepo”.
Vito Antonio Conte
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