Antonio Penna (un destino
anagrafico, il suo) viene dalla scrittura, nella quale si è rifugiato nella sua
ben poco felice infanzia, e da omicida alla scrittura torna nella reclusione
“per tenersi sotto controllo”; nel mezzo, ha amato e si è lasciato amare da
Zenit, la ragazza che parla con la luna, suona il violino, ama le ballate
irlandesi e la cioccolata al latte. Lei lo ha conquistato all’istante con la
sua spregiudicata e limpida autenticità, permettendogli di essere se stesso e
di credere nella propria creatività. Ma, cedendo alla lusinga del successo,
Antonio si allontana da Zenit per ritrovarla solo quando sa che sta per
perderla definitivamente: è allora che lui acquista coscienza della sublime natura
dell’amore, della sete di vita della compagna e della sua totale libertà di
spirito, doni ai quali lui ha rinunciato lasciandosi trascinare in un gioco
ipocrita. Insostituibile Zenit, capace di affidare a un lancio di dadi un amore
e di barare per amore di verità.
“Scrivere è un’arte da
prestigiatore. Possono nascondersi menti contorte dietro tante belle frasi,
succose, tutte da spremere, come le vostre meningi, maciullate. E sapete qual è
l’errore più banale per un prestigiatore? Illudersi che il trucco riesca
sempre.”
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