Le parole di Elisa Longo
hanno un corpo e occhi profondi e scuri come i suoi: sono secche, sudate e
lucide come il dorso di La mula Peppina, la poesia che apre la silloge, dove la
piccola protagonista - come una novella don Chisciotte - sciabola parole
nell’aria, cresce con l’aglio e sogna “in groppa ad una mula che sogna anche
lei.” Le sue liriche sgorgano dalle arsure della terra che le ha dato nascita e
nome (Sei terra affondata, /sei luna, sei ombra, /e mi fai salpare.). Una terra
che ha corpo di donna “seni floridi,/collinette o coppe grandi” violentata in
nome di un incomprensibile progresso “Fili elettroshock corrono per i campi./I
capezzoli sono cementati,/e colano cicatrici profonde, /percorsi di camion
cittadini.” Una poesia terragna, matrilineare, che cresce intorno a figure
femminili forti e accoglienti “Marchiata dalla mia testimone allo specchio,/
aspetto i miei giorni/ che vengono con i tuoi, /e già insegnano un futuro che
reclama coraggio.” Nella seconda parte della silloge il panorama cambia, la
bambina-guerriera non è più sul dorso della mula ma sulla metropolitana di
Milano e la poesia, nella lirica che è espressione della sua poetica (Poesia), diventa
“il suono di chi non ha parole”; inutile vestirla come una sposa, inciamperebbe
nel suo strascico. La poesia, scrive Elisa, va buttata “tra le gambe di una
donna che passeggia.” E sono belle le donne di Elisa, vive e gioiosamente
imperfette: “Dove finiscono le ragazze del metrò?/ Portano la vita in braccia
sventolate,/in bocche aperte una sull'altra./Eccole sopra la musica nelle
cuffie.” Una poesia, quella della Longo, orgogliosamente femminile mai
consolatoria o sentimentale. Le sue liriche d’amore sono passionali (La tua
ugola è il sole nella baia/e le lingue come due balene/giocano a rincorrersi,
sprofondano,/ riemergono a prendere fiato) e al contempo nitide nel tracciare
un confine fra il suo corpo e quello dell’altro: “Sarò quella che sono perché/il
fiume non scorre al contrario /e tu non mi amerai mai/perché lo voglio;” e
ancora: “Potrà esserci un noi,/ per quanto non so,/ e solo se,/ io sono io e tu
sei tu,/ risucchiati e al netto di tutto.” (Antonella Sica)
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