Quando l'arte diventa un mezzo per raccontarsi e per mostrarsi autentici, anche nel farsi cogliere da un lieve rossore, dato da un piccolo moto dell'animo o dal palpitare del cuore per un amore ricambiato. Quando con l'arte si cerca di attirare l'attenzione verso tutto ciò che sembra anonimo e che ci sfugge. Quando l'arte è denuncia delle condizioni della donna, e non solo. Quando l'arte è poesia e colore.
lunedì 25 agosto 2008
La nano-metafisica di Antonella Montagna
La nanometafisica è una voce postmoderna che urla o sussurra metafisica, la modalità non ha importanza. Per metafisica si intende il pensiero/sentire puntato verso quell’altrove/altro, quel nessuno/nonluogo, che percorre tutto il paradigma liberante a partire dalla scuola eleatica in Occidente e, in Oriente, dalla formulazione upanishadica. Se il dettato è sempre uguale (la libertà dalla necessità per chiunque), la sua voce cambia ovviamente con il mutare dei paradigmi. La nanometafisica (conosciuta anche sotto lo slogan ‘metafisica al popolo’) è lietamente debitrice al postmoderno per i suoi doni liberanti: l’emancipazione dalle ideologie fisse e dalle gabbie concettuali, l’apporto svincolante del pensiero debole, l’ampiezza dilatante delle contaminazioni culturali, il relativismo dei linguaggi e il meticciato espressivo, e quel recupero dell’antico a favore della fruizione moderna che in ambito fenomenico si manifesta come vintage. La coscienza del relativismo ideologico è infatti uno dei frutti più succulenti della globalizzazione, non certo fenomeno moderno ma che ha i suoi prodromi nei più antichi scambi di popoli e di culture, purtroppo generalmente finalizzati alla sopraffazione e allo sfruttamento. Il relativismo postmoderno, bestia nera dei dogmatismi, non è imperialista ma curioso dei molteplici approdi alla conoscenza. Offre la libertà di attingere ad acque diverse, di riformulare a piacere, di vivere spudoratamente il proprio sentire e di chiamarlo, come invitano a fare le psicologie transpersonali californiane, la ‘mia verità’. È un relativismo non conflittuale, finalizzato invece a un esito vincitore-vincitore (le due parti) o meglio ancora vincitore-vincitore-vincitore (dove il terzo vincitore è l’ambiente naturale e umano). Un pensiero debole applicato alla verità ci può finalmente salvare dalle guerre per la verità e metterci nell’ottica che la tua verità può avere delle cosette che eccitano la mia verità, la quale può avere delle cosucce che eccitano la tua. Nella consapevolezza, di matrice squisitamente nanometafisica, che il punto finale/iniziale è la libertà dall’invischiamento in qualsivoglia verità, le quali vengono tutte accolte e percepite come stimolante materiale di meticciato culturale e relativismo ideologico. La nanometafisica è il calderone delle streghe in cui vengono mescolati infiniti elementi, non ultimi gli elementi dell’ego, per ricavarne l’acqua di vita, l’elisir dell’eterna giovinezza, il brodo filosofico o comunque vogliate postmodernamente chiamarlo. Non si arroga quindi di avere significato, ma prospera sulla pluralità dei significanti. La molteplicità dei significanti, e delle voci che vi corrispondono, fa della nanometafisica una riproposizione del tema, kantiano e non solo, dell’inconoscibilità del noumeno, inconoscibilità che non ne impedisce la fruibilità, per definizione sfaccettata perché attinente alla cultura e all’individuo, non all’ens profondo a cui culture e individui si abbeverano in quanto fenomeni. Di qui il prefisso nano-, opposto al mega- e all’iper- dei paradigmi/sistemi non aggreganti, ma conglobanti.
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