venerdì 1 luglio 2011

"568 d.C. I Longobardi. La grande Marcia" di Sabina Colloredo edito da Fanucci













La grande marcia è il libro d’esordio della scrittrice milanese Sabina Colloredo, che ha scelto di rifarsi a un modello di grande tradizione: il romanzo storico e d’avventura in cui eventi e personaggi reali del passato si mischiano con elementi di pura fantasia e invenzione. Siamo tra l’autunno del 567 e l’estate del 568, quando il popolo dei Longobardi attraversò i confini italici per instaurare il proprio dominio nel nord della penisola. In quel momento molti popoli premevano alle porte dell’Italia, e tra questi c’erano i Longobardi, i guerrieri dalle lunghe barbe che dalle pianure della Pannonia si muovevano verso le fertili distese al di là delle Alpi. Un’imponente carovana composta da trecentomila tra uomini, donne, bambini e mandrie, guidata dal suo re Alboino, cominciava la sua Lunga Marcia. Intorno ad Alboino si muovono i personaggi di una grandiosa epopea: la moglie e regina Rosmunda, segretamente innamorata del guerriero Elmichi, la figlia ribelle Alpsuinda, la spietata e bellissima sacerdotessa Rodelinda, gli Ari, sanguinaria setta di guerrieri votati al culto del dio Wotan.

SABINA COLLOREDO vive e lavora a Milano. È scrittrice, traduttrice e copywriter. Appena può, trasloca nelle Marche, nella sua casa in cima alla collina, dove continua a fare in allegria e senza fretta le cose più importanti: crescere le figlie e scrivere i suoi libri, romanzi, racconti e poesie per ragazzi. Ha pubblicato finora una quarantina di libri, tradotti in numerosi Paesi esteri e due romanzi per adulti, per editori come Nord, EL, Einaudi Ragazzi, Carthusia. Per Fanucci Editore sono usciti CBCR – Cresci bene che ripasso (2008) e Tutto di personale (2010).

“Pannonia, 566 d.C. – Distesa sul morbido giaciglio di pelli, la principessa Menia osservava gli dèi romani raffigurati nei mosaici guizzare alla luce incerta dei fuochi. Erano state divinità invincibili, che avevano dominato all’inizio dei tempi, ma ora sopravvivevano qua e là solo nelle raffigurazioni sacre e non più nel cuore degli uomini. Proprio come l’Impero, il grande Impero Romano che suo nipote Alboino conquistava anno dopo anno, città dopo città. Ciò che era stato predetto si era compiuto e Menia poteva morire in pace. Riandò con la memoria alla vita trascorsa, senza rimpianti né nostalgie, perché del passato era rimasta l’unica sopravvissuta e i ricordi erano la sua sola compagnia. Lei era stata l’inizio di tutto. Discendeva dalla leggendaria Gambara e dai suoi lombi era nato Audoino, il primo re gauso della storia longobarda. Audace e generoso, suo figlio aveva sconvolto le rigide regole dinastiche e spezzato la tradizione che voleva sul trono solo discendenti di stirpe turingia. Aveva regnato a lungo e con valore, ma anche lui non era stato che una pedina sulla scacchiera degli dèi, un passaggio indispensabile per giungere là dove Wotan aveva inteso condurli: alla nascita di Alboino. Menia sospirò e la sacerdotessa Rodelinda si avvicinò premurosa. Le rimboccò le pellicce e Menia sentì il suo odore di giovane donna che si sprigionava dal vestito. Era stato anche il suo odore, ma non aveva avuto il tempo di farlo diventare un dono. «Sto bene così, grazie!» le sussurrò. Rodelinda era devota a Menia. Le lanciò uno sguardo preoccupato e incominciò a intonare una melodia struggente, imitata dalle altre donne. Era la storia del loro popolo che, imprigionata nella memoria, veniva liberata dal canto nell’aria chiusa della stanza. Menia le interruppe con un gesto. «Zitte. Sta arrivando il sommo re!» bisbigliò. Rodelinda comprese che Menia aveva avuto una visione. Sapeva che era infallibile. Fece cenno alle altre di rassettare la stanza e mise a scaldare una brocca di vino. «Non state lì impalate!» sibilò. Le pareti di legno della domus scricchiolarono sotto una raffica di vento più forte delle altre. Le braci tremolarono, ma il fuoco non si spense. Con il calare della notte, il gelo assediava qualsiasi insediamento umano. Era l’eterna lotta tra la vita e la morte.”

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