I
racconti di Matteo Gubellini sono sogni lucidi. Incontrare le sue parole è come
viaggiare nei suoi quadri e osservarli dall'interno, muovendosi tra pennellate
ipnotiche e ombre silenziose. Non si ha la sensazione di leggere una storia
pensata, bensì di addentrarsi in un mondo le cui luci e le cui ombre sono
generate dai colori di un artista che vuole aprirci le porte del suo sentire e
ci presenta un mondo che può essere osservato solo con occhi nuovi, con occhi
che sanno vedere oltre l'apparenza, oltre la banalità delle proprie certezze. I
pensieri scritti prendono forma in una dimensione che unisce i ricordi al
fantastico, al magico, al surreale e così ogni racconto ci attrarrà, quasi
sussurrando, verso quella parte di noi che ancora non conosciamo o che abbiamo
dimenticato.
Matteo
Gubellini nasce a Bergamo nel 1972. Autore e illustratore ha pubblicato albi illustrati con diversi
editori, tra cui ArteBambini, Bohem Press Italia, Oqo, Principi & Principi,
Logos, Uovonero, Flies France, Anna Chanel, San Paolo, Morfem, Eli. Ama
scrivere, e scrivere canzoni. All'attivo ha diversi cd. Tiene corsi d'illustrazione
e letture animate in giro qua e là.
Ecco un estratto - Un monologo
Sei sempre un pochino affaticata,
e calda in volto, quando entri nel bar e mi siedi di fronte, allora annovero il
giorno fra quelli più importanti. Poi cominci a raccontarmi dei sogni che fai,
e reclini il capo mentre parli, e inchiodi lo sguardo lontanamente, a stanare
le linee, i colori che premurosa riporti in superficie. C’è un arco profondo
che taglia le tue palpebre, e le ciglia sono tende, ed ecco dietro grandi iridi
come biscotti alla nocciola nevicati di fondente, che profumano di vite immaginarie
abilmente intrecciate a un passato che non c’è. Io vorrei conoscere il modo di
guardarti vellicando la tua vanità, regalandoti un piacere morbido e frizzante,
vorrei parlarti con un suono gentile e liquoroso, che t’invischi
irrimediabilmente. In verità io stesso non so ascoltare. Ti guardo, ti guardo
soltanto, mentre languidamente sdrucciolo nella girandola variopinta che frulla
intorno al tuo fantasma, e tu resti sola nel bar, e discorri, e graziosamente
gesticoli.. Anche se nascondo l’orologio sotto l’ampia manica del cappotto, so
bene che fra non molto ci saluteremo, così, come fosse stato il primo incontro,
quasi una cortesia dovuta, e il mio CIAO sarà uno strozzato suggello a tutte le
cose non dette, e solo, mi metterò a passeggiare, un po’ curvo dalla piega che
mi stai tracciando dentro, con la testa che si fa pesante, pesante, sul pianto
in agguato. Altre volte non ti vedo, e capisco che sei rimasta tra la gente,
mentre nel bar io non so proprio come accavallare le dita, e un’ombra scura mi
si spalma in faccia, lentamente. Un’inquietudine ispida e caotica mi tira i
nervi, li trascina, me li arrotola intorno, e qualsiasi avventore del locale potrà
osservare un enorme gomitolo di nervi che vibrano davanti al caffè... forma
sinistra e inavvicinabile. Un alone pian pianino si delinea, e si spiana tra i
nervi, un poco li allenta, ché un’amarognola malinconia vi si possa insinuare,
cupa, cupa, ma pacata finalmente, e monotona.. L’idea di te si fa arrogante,
incorruttibile, così dimentico il tuo volto, e le immagini terrene, precise,
inutilmente nitide, ti girano intorno. Senza poter compiere un balzo.
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