Quando l'arte diventa un mezzo per raccontarsi e per mostrarsi autentici, anche nel farsi cogliere da un lieve rossore, dato da un piccolo moto dell'animo o dal palpitare del cuore per un amore ricambiato. Quando con l'arte si cerca di attirare l'attenzione verso tutto ciò che sembra anonimo e che ci sfugge. Quando l'arte è denuncia delle condizioni della donna, e non solo. Quando l'arte è poesia e colore.
mercoledì 3 settembre 2008
Il linguaggio delle Pietre: attività vibrazionale coerente nelle cellule goedetiche megalitiche. A cura di Marisa Grande
I monumenti megalitici hanno assolto nel Salento quel compito risanatore dell’attività vibrazionale della terra che fu anche degli henges dell’area euro-asiatica, delle piramidi in Egitto, delle ziqqurat in Mesopotamia e delle piramidi meso-americane.
L’organizzazione megalitica salentina descriveva sul territorio un modello a “tela di ragno”, quale riflesso della calotta celeste, la mitica “tela cosmica” nel cui centro si riteneva risiedesse la Grande Ragno, la dea tessitrice dell’Universo e detentrice del filo che intesseva il destino degli uomini e di tutto il cosmo. Le “cellule megalitiche” salentine erano composte da grandi specchie centrali, collocate sulle brevi alture delle Serre, e da raggiere di menhir elevati con un passo costante ritmato da precisi riferimenti astronomici. Le specchie erano cumuli di pietre che richiamavano simbolicamente il grembo fecondo della Madre Terra, nel cui interno scorrevano le sue acque primeve in forma di fiumi sotterranei. Esse costituivano i “nodi cosmogonici” e i “poli cosmologici” della cellula geodetica “a tela di ragno”, composta da quel sistema megalitico “centripeto, centrifugo e concentrico” che riproduceva sulla terra la medesima forma-onda di energia in espansione scaturente da un centro astrale di riferimento. Le specchie vibravano o franavano lungo le loro stesse pendici nel momento del passaggio turbolento delle acque ipogee, che trasportavano per mezzo dei sali ionici disciolti flussi di elettromagnetismo che, in particolari fasi della vita della terra, si manifestavano a carattere distruttivo. Fungendo da veri e propri sismografi litici ante litteram, le specchie, che riecheggiavano all’esterno l’attività vibrazionale interna della terra, captando ed espandendo nell’area della cellula geodetica megalitica i flussi di elettromagnetismo circolante “allo stato caotico” nel sottosuolo, permettevano ai geomanti-sacerdoti-astronomi, che già auscultavano il “cuore pulsante” del pianeta dall’interno delle sue cavità carsiche, di monitorare lo stato di salute del territorio. Il materiale impiegato per elevare i monumenti megalitici salentini -calcare locale, se pur non specifico come il quarzo di Newgrange, le pietre blu e le pietre sarsen di Stonehenge, o i graniti delle piramidi egizie- doveva avere comunque caratteristiche di “buon conduttore”, poiché i menhir, monoliti infissi nel terreno come gli aghi dell’agopuntura, avevano la funzione risanatrice propria dei “catalizzatori” e dei “trasformatori” dell’elettromagnetismo caotico in “onde di flusso coerente” per riequilibrare lo stato dei campi magnetici sotterranei ed aerei, salvaguardando, con la loro funzionalità, la stabilità del territorio della cellula geodetica megalitica di loro pertinenza.
MARISA GRANDE ha pubblicato per Besa
L'ORIZZONTE CULTURALE DEL MEGALITISMO
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