martedì 23 settembre 2008

Monica Viola: Tana per la bambina con i capelli a ombrellone

Questa è la storia di una ragazzina affamata d’amore e d’accettazione in una famiglia romana troppo numerosa e caotica per saziarla. È la storia di una generazione ibrida e rimossa: quella di chi era troppo giovane per il ’77 e troppo vecchio per gli anni Ottanta. È la storia di una Bambina con i Capelli a Ombrellone cresciuta a cavallo dei due decenni, inciampando nelle spine più aguzze della vita: le molestie dei fratelli, la malattia e la morte della madre, l’indifferenza del padre. È la storia di un’Italia prima insanguinata e impaurita, poi d’improvviso futile e leggera.
“Tana” è uno di quei rari romanzi di formazione in cui la storia con la “s” minuscola – che come la protagonista si appiccica, seduce e non molla – riesce a intercettare la Storia con la “s” maiuscola, a farsene bandiera. In cui il privato è “politico” nel senso più ampio del termine. Il monologo interiore che l’autrice Monica Viola ci regala – con una prosa potente, aspra e originale – rivela le fragilità di un’adolescente vissuta sentendosi marginale in un contesto di angoscia collettiva: ripercorriamo nei suoi flash sgomenti gli anni delle stragi e degli omicidi “politici”, Bologna e Moro, Serpico e i gambizzati, le mille “paranoie collettive”. E, allo stesso tempo, sbandiamo con i suoi sbandamenti: gli errori, le bugie, il sesso inutile e pieno di odio, il pochissimo amore, le amicizie, le perdite dolorose. Con una colonna sonora che, da sola, batte il tempo del romanzo, dai Pink Floyd ai Gong di Daevid Allen e Steve Hillage, da Guccini a De Gregori, dagli Chic alla Sugarhill Gang, dai Genesis agli Earth Wind & Fire, da David Bowie ai Genesis, fino a Madonna e ai Duran Duran, icone pop di un decennio pop, per concludersi con il lirismo degli Smiths.
Non c’è nulla di buonista: la Bambina diventa donna e rifonda la sua vitalità, ma a caro prezzo. Il messaggio è scabro e concreto: si può sopravvivere. Nessun eroismo, se non quello della sopravvivenza.
Dice bene Lidia Ravera nella quarta di copertina: “La piccola educazione sentimentale di una bambina sincera e scostumata. Un’apologia del disagio giovanile come solo e insostituibile motore per una formazione decente. Epica frammentaria di pigrizie e crudeltà, alla ricerca di un po’ d’amore, anche poco, anche usato, anche effimero. Un bel personaggio, la Bambina con i Capelli a Ombrellone, tana per lei, fra Flaubert e Woody Allen”.
Dice bene l’autrice: “Questa storia vuole anche essere – con poche pretese – la cronaca di una generazione senza identità: troppo giovane per il ’77 e troppo vecchia per gli anni 80. Generazione ibrida che ha fatto da ponte tra due estremi, sotto l’ombra lurida degli anni di piombo e delle stragi di Stato. Una generazione rimossa di cui non parla mai nessuno, assente anche dall’immaginario cinematografico. E però eravamo tanti, scuole con le sezioni fino alla lettera 'T'. Dove siete, tutti?”.

quarta di copertina

“La piccola educazione sentimentale di una bambina sincera e scostumata. Un’apologia del disagio giovanile come solo e insostituibile motore per una formazione decente. Epica frammentaria di pigrizie e crudeltà, alla ricerca di un po’ d’amore, anche poco, anche usato, anche effimero. Un bel personaggio, la Bambina con i Capelli a Ombrellone, tana per lei, fra Flaubert e Woody Allen.” [Lidia Ravera]

Roma, anni Settanta. Epoca di passioni politiche che infiammano, di attentati ed esecuzioni a insanguinare le strade, di giorni intrisi di una tremenda, capillare angoscia collettiva. Fino al sopraggiungere degli anni Ottanta, futili e liberatori, carichi di voglia di leggerezza e di evasione, di musiche di tendenza, di mode irrinunciabili.

A cavallo dei due decenni, la storia interiore di un’infanzia e adolescenza, il racconto di una bambina che, passando attraverso esperienze dolorose e destabilizzanti - ma senza mai rinunciare a rincorrere la felicità -, infine diventa donna.

Cresciuta in una famiglia numerosa, caotica e vecchia maniera, con un padre autoritario, una madre dolcissima, sorelle, fratelli e una nonna rinchiusa nel suo passato di sogno, la Bambina con i Capelli a Ombrellone inciampa nella vita e nelle sue spine più aguzze, subisce lacerazioni traumatiche (le molestie sessuali di due dei fratelli più grandi, la grave malattia della madre), sbanda - ma si reinventa con nuova, sorprendente, trascinante vitalità.

Affronta la scuola con i suoi piccoli grandi insuccessi, le difficoltà degli amori e l’ambiguità del sesso, sa riconoscere la vera amicizia (anche se non sempre sa rispettarla), ma si adegua alle compagnie più diverse, sempre alla ricerca di un po’ di attenzione, di un po’ di affetto, spinta da quella voglia urgente dell’adolescenza di piacere e conquistare e con la necessità profonda e sommersa di un inconsapevole, istintivo costruirsi. Sostenuto però da una grande risorsa: la capacità di cercare negli altri il miracolo dell’accettazione nonostante tutte le proprie traballanti insicurezze, quel miracolo che, unico, potrà aiutarla a “ricucirsi”.

Un romanzo a forma di lungo monologo interiore, che alterna brani di narratività accattivante a momenti di autentico lirismo. Una prosa attenta, scrupolosa, dallo stile sintetico e pregnante e dal linguaggio intensamente evocativo: parole dense e vere per raccontare una storia che, come la protagonista, si appiccica, seduce, non molla.

Monica Viola è nata a Roma l’anno in cui nasceva il beat. Ci abita ancora, infelicemente impiegata. Questo è il suo esordio narrativo.

Tre ragioni per NON leggere questo romanzo:
1. ami la letteratura “minimum fax”
2. odi i memoir
3. in un romanzo cerchi una narrazione compiuta con una storia e un finale, magari inaspettato.
mv

fonte iconografica e comunicazione tratti da www.monicaviola.it

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