“ciò che colpisce l’occhio del
lettore è il non stare di Tamanini su una linea lirica già vista, come il non
stare entro i confini di una usanza poetica. […] ciò che conta è il passo, uno
dopo l’altro, di questa tenace viaggiatrice della parola, che attraversa la
tradizione lirica italiana – ma sono avvertibili molti echi nordeuropei – per
andare a crogiolarsi, a “nannarsi”, in una sua personalissima poetica dello
stupore. […] La poesia di Tamanini è cinematografica, il suo occhio è
cinematografico, ma con dei tempi teatrali, più lenti, artigianali, umani. È
un occhio che segue pedissequo la parola, ma anche l’inverso, a formare un
lessico spesso così distante e al contempo pertinente con l’oggetto a cui si
riferisce. […] L’occhio-parola di Tamanini è un occhio rivelatore di piccole
abusate viltà, con la leggerezza del disincanto. (dalla prefazione di Anna
Toscano)
LINEE - Perché girare in
gonnellino//con la giacchetta pulita sfiancata// il nero che lotta contro la
luce//il tacco a terra che salvi il piede?// Perché la piega del viso della
gamba// la linea che non si irruvidisca?// Sempre tenersi compatti inscatolati,//
da preferirsi il silenzio nessun rumore.// Io voglio portare quattro borsoni// e
thermos di tè per ogni occasione,// tornare ancora all’enorme casacca// inzuppata
di lana fino ad affogare// e appena intuire l’odore del prato// trovare il sole//
espandermi inondare il mondo occupare// lasciare che il canto s’allarghi per
strada// con altri canti una nenia soffusa//quando è di sera e per il giorno la
gran sinfonia:// se gioia ridacchiare// se tedio mugugnare,// colorare sempre
fuori dai margini.”
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