“E’ davvero sorprendente come con poco, anzi con
niente, Max Frisch abbia manipolato il concetto di esistenza, rivoluzionandolo.
E lo ha fatto attraverso i suoi scritti, la sua arte, la sua vita. Nel 1986,
quando il romanziere e drammaturgo svizzero Max Frisch ha vinto il Premio
Neustadt, il New York Times lo ha descritto come “candidato al Premio Nobel a
vita”. Qualche anno dopo muore, ma senza il Nobel. Da anni tento di indagare
sul caso Max Frisch, ma chissà come tutti gli indizi portano a Krolevsky. Il
problema dovrà essere affrontato in ogni suo minimo aspetto, scandagliando ogni
singola parte evitando tutte le aporie del caso… pardon del caso Krolevsky!”
(Stefano Donno)
“Film anomalo, Il caso Krolevsky di Alessio
Gambaro e Christian Zecca. Sperimentale e colto, di forte impianto teatrale e,
al contempo, profondamente cinematografico; un’opera di finzione che, nella
sostanza, si discosta per temi, realizzazione e struttura da gran parte della
produzione italiana corrente. Un’estraneità, un essere nobilmente - e del tutto
volontariamente, va detto – fuori dal coro che sfida le consuetudini del tempo
presente e affonda le radici in una derivazione letteraria curiosa e vagamente
demodé: alla base del progetto vi è infatti Biografia, testo teatrale dello
svizzero Max Frisch datato 1967, complessa riflessione sulle possibilità di
manipolazione consapevole dei percorsi biografici, fosca metafora del riflesso
della personalità umana sulle azioni che compongono, volenti o nolenti, le
nostre storie individuali.” (Massimo Lechi)
“Dopo la prima sequenza siamo trasportati in un
luogo neutro, onirico, bianco: un non-luogo, dove in un contesto altrettanto
irreale, ma del tutto differente del precedente ogni scelta della vita di
Kurmann è contrappuntata da un movimento sulla scacchiera. E allo stesso tempo
questa partita immaginaria o immaginata è riportata al suo incipit, tutto è già
compiuto nel momento stesso in cui si dipana. La sfida prosegue fino al suo
epilogo, moltiplicando il gioco di specchi e di rimandi ancora una volta, e mi
scuso nel ripeterlo, di simboli: nulla è canonico, l’intervento di un presunto
regista in scena che guida i due attori, è in realtà un bambino che pure parla
con la stessa voce del Registratore… Gioco scenico nel gioco narrativo che pure
era la cifra del testo originario.
Gli attori diventano le pedine della partita e
tutta l’operazione gioca con eleganza (ma fino in fondo su questo registro)
nell’uso degli elementi: pedine, scacchiera come orizzonte esistenziale, regine
re e pedoni, ma anche partita che conduce alla vittoria o alla sconfitta a
partire in maniera ineluttabile dalle proprie mosse o scelte. Kurmann sa tutto
questo eppure tenta di giocare se non la partita immortale, la partita
impossibile, la vittoria senza costo, l’equilibrio degli opposti e fallisce,
pur tentando di rigiocare infinite varianti. Arriverà sempre alla stessa
conclusione: Non può che perdere. Nel film tutto questo è reso in maniera
esplicita, attraverso una compresenza del linguaggio cinematografico e della
lettura scenica, e non solo: ne deriva un testo veramente multilivello che
supera i limiti di un solo codice linguistico e ne attiva molti di più, che può
in sostanza essere letto in molti modi e con molti linguaggi.” (Giovanni
Robbiano)
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