La congiura degli opposti: un accordo segreto delle
contraddizioni. Meraviglioso, finalmente, sembrano aver raggiunto un equilibrio
le contraddizioni dell’anima nella poesia di Maria Benedetta Cerro. «Poi dalla
congiura degli opposti / guarì il poeta». (p. 25) È un tacito accordo, una
compresenza dove a volte prevale la vita, la passione, l’amore; altre volte la
morte, la sofferenza, l’abbandono. Così come un viandante - percorre l’anima
bramosa di Cerro - l’intera silloge. «Chi anche solo in una certa misura è
giunto alla libertà della ragione, non può poi sentirsi sulla terra nient’altro
che un viandante - per quanto non un viaggiatore diretto a una meta finale:
perchè questa non esiste». (F. Nietszche, Umano troppo umano).
«Sospesi avanti al suo respiro / intenerite sfide. /
- Portami oltre». (p. 41). E: «Non questo cielo / - non oggi - Il presente mi è estraneo / e
forse / non esiste» (p. 100). Sono profondi i versi di Maria Benedetta Cerro,
svettano alti come le sue “torri”: «Una torre così fiera, che guarda il cielo e
ugualmente la volgarità del suo abisso, che vuole assolutamente erigersi,
disperatamente sventolare il palio delle sue trombe». (p. 86). Eh già, perchè
salire la torre comporta il suo opposto scendere negli inferi, nell’abisso di
un’anima che si perde rapita da una passione e non può concordarsi ora che
l’amore l’ha travolta: «L’amore ha il cuore duro / spranga / sferza. / A volte
sul tamburo del sangue / richiama la dispersa mente. / L’amore spacca
l’interezza. / Dura / persino la tenerezza». (p. 67). Non si può non lasciarsi
rapire dalla Congiura degli opposti, «le parole sono come calamite / che
tolgono agli occhi la ragione del divergere» e si resta affascinati dallo stile
di Maria Benedetta Cerro che scrive il suo silenzio e lo fa ascoltare
chiaramente ad ogni orecchio attento che vuol percepire la poesia, sentire il
profumo di libertà dei “fiori di peonia” e assaporare l’esistenza con i suoi
opposti.
Si legge: «Hai messo al mio grido / un recinto di
spinose corde. / Cosa vuole da me / la tua dannata morte. / Che io canti la sua
allegria / senza lacci ai piedi / portandomi al braccio la sua cappa bruna.
(...) Per udirmi cantare / hai voluto il mio grido segregare / e un silenzio
allestire grave come la fine». (p. 69) Ed ancora: «Le coppe delle magnolie corrotte. / Era
questo l’odore della vita? Ma ancora / insubordinata e lieta / senza di me / in
altri da te / canta le sue vittorie». (p. 96) Ė un idillio che lascia il segno,
nutre l’anima del lettore, inquietandola - e non può essere altrimenti - come
un Dioniso che danza incessantemente, avvertendo il bisogno impellente di
condividere il genio folle di Cerro. Tuttavia, i versi raccolti nel libro La
congiura degli opposti fanno approdare la mia mente nell’incantevole mondo
baudelaireiano. «Avrei con ardore baciato il tuo nobile corpo e / passato il
tesoro di profonde carezze dai tuoi freschi / piedi alle tue trecce nere, / se
qualche sera, o regina crudele, con un pianto / ottenuto senza sforzo tu
potessi solamente / offuscare lo splendore delle tue fredde pupille». (C.
Baudelaire, Spleen e ideale) Anche Baudelaire contrappone nelle sue poesie il
bene e il male, la vita e la morte, l’amore, la bellezza, l’angoscia di vivere
privilegiando sensiblità, irrazionalità, malinconia. Si rifugia nella poesia,
prediligendo l’onirico e la propria solitudine. Così si legge: «Di sera le
angosce si chiamavano per nome / sulle soglie guardavano moltiplicarsi
l’assenza della luna. / Erano alti i cancelli / non si vedeva l’estremità di
niente / ma l’indice fissava nella verticalità una dimora prossima all’altezza.
(...) - La nenia in un angolo si cantilenava - / Gabriele dell’Addolorata contò
le sette spade / ripose il teschio / poi partì per trent’anni». (p. 111). È
chiara l’originalità della poesia di Benedetta Cerro, come è evidente la
capacità di rivelare le sue emozioni utilizzando un linguaggio aulico, «è colei
che se l’ignori sguaina lo strale». Non si può né si deve ignorare. La sua
poetica colpisce come frecce che lasciano il segno e si sente, lo si ascolta,
lo si riconosce come un pianoforte quando suona le sinfonie di Liszt. Così come
si vive anche l’impronta filosofica sempre in bilico tra poesia e prosa,
rifuggendo da ogni classificazione di genere e lo si comprende nel riferimento
che la poetessa fa nell’incipit della sua opera a Edmond Jabès. La conclusione
pertanto appare provvisoria, non si può mettere fine a riflessioni riguardo
l’esistenza, la filosofia cantata in versi e in prosa nell’opera poetica La
congiura degli opposti in siffatta maniera: «Gli uccelli cantavano / nei
pentagrammi. Gli alberi / si cercavano nella geografia dei tarli. / L’infanzia
si calò il silenzio / sugli occhi. E si distese. / Piansi in terza persona. /
Non avevo lacrime mie. / Ma si recitavano / attraverso la mia voce / tutte le
poesie (...)». (p. 119). E come far morire il viandante di Nietszche, lo
Zarathustra - è impossibile - poichè è eterno il suo cammino nell’eterno
ritorno.
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