Silvia Rosa scrive poesie bellissime, inquiete e inquietanti
per una costante contraddittorietà fra visioni, scatti di vita, alacrità del
tempo, indugi negli anfratti e nelle astuzie dell’età, e fulminee
precipitazioni nell’abisso dell’ansia, del dubbio, della parola e delle
esperienze inceppate, d’improvviso volte a rivelare la frantumazione del
discorso dell’esistenza [...]
Non si tratta più di versi, bensì di sequenze di prosa
tuttavia fortemente misurate [...] due sono i nuclei su cui si raggruma il discorso
di Silvia: l’autoanalisi, l’estrinsecazione di pensieri, di domande, di
situazioni interiori che ora sembrano risolte, ora rimettono in gioco al tempo
stesso la vita e la parola appena pronunciate; e l’invenzione d’amore, rapido,
mutevole, avventuroso sia negli eventi sia soprattutto nelle trasformazioni e
negli imprevedibili stupori della scrittura. [...] Silvia intrica e districa la
propria contraddittoria e spesso drammatica verità. L’aspirazione è l’estrema
chiarezza che rileva la tensione continua delle affermazioni, delle
confessioni, delle indagini interiori nella speranza di arrivare ogni volta, in
ogni “capitolo”, alla luce, e tanto spesso invece il groviglio diventa più
complesso e più inquietante nell’ultima riga (che) rinvia a un altro componimento
con il quale forse si potrà arrivare alla comprensione di sé, che, nell’ambito
della letteratura, coincide con la creazione di una nuova e ancora intentata
arte dell’espressione, con la pronuncia proclamata e libera della letteratura
che sia la lezione per chi scrive che diventa lezione per il lettore. (dalla
prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti)
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