“Mia Lecomte da molti anni
esplora le azioni di uomini e donne che agiscono nelle zone di confine, cammina
intorno alle possibilità che i linguaggi, unendosi, hanno di non far
precipitare la realtà in uno sfascio insanabile. La democrazia con cui dà il via
a questo nuovo libro non è una parola, non soltanto, ma il salto improvviso
verso la conoscenza. In termini di pura energia si tratta di liberare le
grammatiche a uso dei bambini, perché questi possano piegare il paesaggio alla
loro idea dei colori. Ecco, proprio in mezzo a queste tinte pure e sature si
misura l’odore dei pastelli e della carne innamorata in tutti quei gesti che
quotidianamente lasciamo andare, mentre Mia trattiene tutto nelle sue parole,
quelle che producono calore anche soltanto descrivendo l’apertura di una
scatola di pomodoro. E dunque si capisce bene come l’universo può essere pulito
proprio nei suoi recessi microscopici, e dato che la realtà è una serie di onde
e particelle che tutto possiedono meno che una misura, sembra inutile tentare
di uscirne. Tanto vale concludere che basti un pomeriggio per togliere la
polvere. Nel sistema della poesia non c’è differenza fra piccolo e grande. Un
giorno è bastevole perché faccia esistere il giorno successivo, e così via. Fra
i mobili dell’Ikea e gli anelli di Saturno che differenza c’è? C’è che una
poetessa come Mia è capace di istruire sul sorvolo delle lune di Giove come si
trattasse di una partita a biglie. La semplicità della sua materia ha il
fascino di una valigia preparata con cura, ma senza perdere tempo. Tutte cose
adeguate perché la sua poesia lasci perdere la chincaglieria oggi in uso (ma i
più ingannevoli sono certi presuntuosi giovinetti), e per smetterla una buona
volta con i travestimenti. […]. Mia riesce a dirci che siamo noi a voler far
esistere la poesia (“molto poesia”) a ogni costo, contrastando l’allontanamento
delle cose, la loro voglia di svanire. La sua scrittura ci parla di un
tentativo (certamente riuscito) quasi figurativo perché si trovi un equilibrio
tra voglia di sparire e capacità di restare al mondo, soprattutto degli
oggetti. Gli oggetti che spesso ci permettono una consistenza, un sentirsi
tridimensionali e pieni di qualcosa in mezzo al caos del tempo e della materia.
Ecco, in Intanto il tempo, fuori dalle integrazioni, tutto questo c’è. E
funziona. E lavora. (dalla postfazione di Elio Grasso)
Nessun commento:
Posta un commento