Si può amare la Scrittura? Si può
dialogare nell’impossibile? Nella stesura del non-racconto l’interrogativo
diventa forte, sollecita. È la stessa Scrittura che incalza, soffia e traduce.
Quando la Scrittura
s’identifica in un nome, in Thea, il personaggio di nome Giano, duella con
l’unicità di Thea, quella dell’essere senza falsi pudori, senza veli. Come
Scrittura, Thea, questo rivendica. Nel suggerire parole, non può non far
scuotere Fiato che è lo stesso Giano. La duplicità, che è incertezza, diventa
il tramite per l’atto estetico da trasferire sul corpo di Thea con il timore
dell’inizio, dell’horror vacui che qualunque gesto porta con sé nel trasferirsi
su di una superficie. Giano ozia, Fiato racconta. Tre lettere rinvenute sono il
pretesto. Thea-‘Ntina subisce e si vendica con il rovello in cui costringe
Giano. Ma, è anche la stessa duplicità di Thea a soccorre Giano
nell’iniziazione, e lo induce a dirigersi nell’unità di un’Anima-Memoria, nel
far rincorrere l’Udito che è Parola, il Gesto che è il Segno ed il Filo senza
spessore che è l’Immagine. Un libro molto intenso di Francesco Pasca.
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