“Con questo figlio che per tanto tempo non ho desiderato, mi sento l’ultima
della classe. L’idea che dentro di me alloggiasse un altro essere per nove mesi
e che il mio corpo fosse costretto a deformarsi non mi piaceva. Mi sembrava un
atto troppo intimo e per questo un po’ ripugnante. Poi è arrivato Marco. È
successo la terza sera che facevamo l’amore. Senza chiedermi nulla andò dritto.
Non lo fece per sbaglio ma col piglio autoritario dell’uomo che ti pretende e
suggella cosí il suo dominio. Restammo lí senza parlare, con gli occhi
incastrati l’uno nell’altra, come se si fossero fusi. In quel momento mi venne
voglia di rimanere incinta. Di sperimentare quella potente forza primordiale
capace di squassarmi il corpo di donna troppo civilizzata. Partorire è un atto
primitivo. Indecente. Andrebbe vietato. Cosa c’è al mondo di piú terrificante
che perdere il controllo? (Eleonora Mazzoni, Le difettose)
Tra qualche mese Carla avrà quarant’anni, e ha paura. Non è la vecchiaia a
spaventarla, se ne frega delle rughe e del corpo che cede alla forza di
gravità; però Carla vuole diventare madre, e di questo desiderio il tempo che
passa è il nemico più grande. E allora bisogna correre, fare tutto il possibile
prima che sia davvero definitivamente troppo tardi. Marco ama Carla come non ha
mai amato un’altra donna, e questo figlio lo sogna anche lui. Ma limitarsi a
sognare non serve a nulla, Carla lo sa, bisogna agire, essere disposte a tutto.
Questo «tutto» accade nelle stanze di un edificio di un bianco irreale, un
posto asettico nell’aspetto ma che nasconde un microcosmo pieno di umanità: è
il reparto di Procreazione Medicalmente Assistita. Qui, tra prelievi e
anestesie, pick-up e transfer, si prova a mettere rimedio con la scienza ai
difetti della natura. Proprio così, difettose, si sentono Carla, Licia, Katia,
Marta, Emma e tutte le altre donne – anche giovanissime – che invadono la sala
d’attesa del reparto con le loro enormi speranze (e le terribili, frequenti
delusioni): sbagliate, manchevoli, incapaci di realizzare il ruolo per il quale
dovrebbero essere «biologicamente programmate». Eppure lì, all’interno del loro
mondo, le «fivettare» sperimentano l’amicizia e la comprensione, il conforto e
il sostegno: e si accorgono di essere tante, tantissime, e quindi, forse, un
po’ meno sbagliate. Basta raccontare a qualcuno la propria esperienza per
scoprire che c’è sempre una sorella di un’amica, un’amica di un’amica, la
sorella di un’amica dell’amica che ha una storia simile alla tua. E poi ci sono
i forum e le chat, dove si impara, ci si sfoga, si segue giorno per giorno il
percorso di queste donne fragili e fortissime insieme, con i loro fallimenti
alle spalle e ancora tanta fiducia nel futuro. Per noi fivettare le
mestruazioni sono le «rosse» o le «malefiche» o le «maledette», i ginecologi
semplicemente i «gine», i rapporti mirati i «compitini» o le «maratonate »,
dopo il transfer degli embrioni «facciamo la cova» e al decimo giorno post
ovulazione cominciamo a «sticcare », non si rimane incinta ma «si becca la
cicogna», detta anche, con un po’ di disprezzo per le sue latitanze, la
«pennuta», però quando la becchiamo diventiamo carne della sua carne e «ci
incicogniamo». E giú sigle: pma, icsi, fivet, iui, po, pm, pgd, ivf, geu.
Sembriamo studentesse delle medie che parlano in codice per estromettere gli
adulti da faccende che non capirebbero. Ogni giorno sui forum di donne che
cercano un figlio m’impantano in chat invase, come i diari dell’adolescenza, di
sfoghi, di confidenze brutali, di soccorso reciproco, di «ragazze, vi voglio
bene», di «brancolo nel buio ma grazie al vostro aiuto procedo », di «ora sono
triste e vuota ma per fortuna ci siete voi», alla faccia di tutti i dottorini
senza cuore che erigono dighe per fronteggiare i nostri assilli di femmine che
non riescono a procreare. Eleonora Mazzoni, qui al suo esordio, ci guida in
questo universo straordinario, e lo fa con l’autenticità di chi non si limita a
osservare: «avevo una storia da cui partire: la mia», ha raccontato in
un’intervista per Vanity Fair. Ma Le difettose non è un’autobiografia, e non è
neppure solo un romanzo sulla fecondazione assistita. È un libro che «parla
della vita, dei desideri, della difficoltà di esaudirli, del perché li
perseguiamo e pagando quali prezzi, perché li abbandoniamo», ha detto ancora
l’autrice. Carla, in fondo, fa un percorso di guarigione: un percorso fatto di
illusioni, paure e conquiste, fatto di amore che diventa incomprensione e poi
scontro, di desiderio che diventa astratto e dimentica quale fosse il proprio
bersaglio, fino a riconoscere un vuoto che neanche la maternità potrebbe
colmare: finché, cercando un figlio, Carla finirà per trovare se stessa. Con
una scrittura lieve e briosa, Eleonora Mazzoni ci regala un romanzo pieno di
intelligenza e di ironia, il ritratto di un mondo vivacissimo e sorprendente,
un variopinto gineceo di creature eccentriche e ostinate, rese imprevedibili
dalle medicine, gonfiate dagli ormoni «come galline d'allevamento» e
perennemente in guerra con la cicogna... ma sempre pronte, nonostante tutto, a
consolare e ad ascoltare.
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