Il 13 luglio 2015
moriva d'infarto a quarantanove anni Paola Clemente una bracciante agricola che
lavorava alle dipendenze del caporalato pugliese nelle campagne di Andria. Si
alzava alle due di notte per raggiungere dopo vari spostamenti il posto di lavoro.
Già perchè anche quello era un posto di lavoro difeso con le unghie in un sud
che non fornisce speranze ai lavoratori, dimenticandosi della dignità delle
persone. Paola guadagnava ventisette euro per dodici ore di lavoro sotto il
sole rovente della nostra Puglia. Dopo quasi due anni i responsabili di quella
morte sono stati arrestati, e noi tutti speriamo che gli anni che sono stati
loro assegnati, siano tutti utilizzati sino alla fine. E' stato detto che
nessuno dei compagni di lavoro di Paola voleva parlare. Se noi accusiamo queste persone di omertà, li
offendiamo profondamente. Come fa una madre di famiglia con dei figli a carico,
magari il marito disoccupato, a denunciare i responsabili. Vuol dire perdere il
posto di lavoro, vuol dire non mangiare. E smettiamola di erigerci a giudici
nei confronti di persone che non solo vedono calpestata la loro dignità per
questa nuova forma di schiavitù, ma che non vedono nessuna altra prospettiva.
Chi parla così si guardi intorno nel nostro sud. Si parla di dare lavoro, di aiutare le piccole
aziende . Ma quando? E' certo più urgente guadagnarsi una poltrona in un
partito o in parlamento facendo promesse e promesse. E sono bravi a trovare gli argomenti che
tocchino la pancia di chi ha bisogno. Queste forme di schiavitù deve
combatterle chi sta ai vertici e non solo quando ancora una volta muore
qualcuno sul lavoro.
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