mercoledì 1 febbraio 2017

Requiem per un soldato di Oleg Pavlov. In libreria dal 2 febbraio 2017 per Meridiano Zero



























Terzo della trilogia “Racconti degli ultimi giorni” di cui il primo, il pluri tradotto Capitano della steppa, ha vinto il Russian Booker Prize, Requiem per un soldato è un romanzo tratto dalla reale esperienza dell’autore presso i campi sovietici in Kazakistan. Oleg Pavlov, allievo di Aleksandr Solženicyn, è il cantore indiscusso della Russia a cavallo tra Arcipelago gulag (del suo maestro) e Lemonov (di Carrère), una sottile terra di mezzo tra il periodo di massima potenza dell’URSS e il periodo “degli oligarchi”. Un lasso di tempo unico, in cui tanti avevano già capito che il comunismo non sarebbe sopravvissuto e vivevano quell’attesa come in una sorta di limbo insensato più che nella speranza di libertà future. I protagonisti di questa letteratura “interstiziale” sono i massimi latori dell’assurdità dell’epoca: i soldati semplici (o i graduati inferiori) preposti alla salvaguardia di strutture ormai inutili come infermerie, prigioni militari, poligoni di tiro o obitori per i soldati…
La vicenda si svolge nella cittadina di Karaganda (attuale Kazakistan). Il capo di un’infermeria fissato con la caccia ai topi decide di prendersi cura della salma di un soldato ucciso in una futile sparatoria tra militari sovietici. La trama segue il viaggio del defunto verso Mosca, attraverso protocolli sfilacciati, fori in testa da camuffare, divise da parata lerce, compiti svolti in cambio di un pacchetto di the e molto molto freddo. Oltre al capo medico, ignavo padrone di un ambiente insulso, quale un ambulatorio nella seconda periferia dell’ URSS in declino, l’ingrato compito di scortare il soldato Gennadij Muchin o almeno i suoi resti mortali, spetta ad altri due emblematici personaggi. Primo tra tutti forse il protagonista (almeno tra i vivi) di questo libro ovvero Alësa Cholmogorov, soldato congedato da un poligono di tiro nella steppa. La solitudine nel poligono di tiro kazako è descritta con prosa di rara bellezza, ma al di là degli accenni lirici alla condizione umana, Pavlov riesce a rendere l’insensatezza della vita militare degli “ultimi giorni” con dei tratti grotteschi, divertenti. Così, per ironia della sorte, il nostro soldato semplice avrà solo una persona con cui parlare durante gli sporadici controlli al poligono di tiro: il paterno generale Abdulla Ibrahimovic Abdullaev assordato a vita da una granata!  L’altro accompagnatore è il cinico e infervorato autista di ambulanza Pal Palyč, che sembra essere a suo agio in quel mondo conosciuto a furia di portare avanti e indietro barelle. A scompaginare la determinazione del terzetto sarà la figura simbolo dell'inanità del tutto: il padre del soldato morto. Un “patetico individuo” che annega nell’edonismo il dolore per la perdita del figlio, tanto da preferire un festino a base di vodka al posto sul treno che porterà la bara nella capitale per il funerale militare… In un treno merci che funge da hotel, il padre del soldato si accompagna con un’umanità ferroviaria di vario genere. Pal Palyč  e Alësa Cholmogorov cedono al richiamo del brindisi in onore del defunto, ma davanti a loro si schiude una sorta di non compleanno con tanto di “cappellai” matti e situazioni surreali. In fondo se morire è così semplice e la vita non è molto più sensata che la morte, non resta che brindare e far baldoria. O impazzire.

Oleg Pavlov (Mosca, 1970) è uno degli autori più dotati e stimati del “rinascimento letterario” russo contemporaneo. Molto giovane ha prestato servizio a Karaganda come guardia carceraria, testimoniando ogni sorta di degradazione umana; alla fine una grave commozione cerebrale l’ha portato a essere ricoverato presso l’ospedale psichiatrico locale. Ha lasciato l’esercito all’età di vent’anni a causa di una diagnosi di “instabilità mentale” e scritto questo suo primo romanzo breve semiautobiografico a ventiquattro. Leggendo Arcipelago Gulag di Solženicyn, afferma di avervi scorto esattamente il lager in cui aveva lavorato. Negli ultimi anni di vita di Solženicyn, è diventato suo allievo e aspira a proseguirne la grande opera. Nel suo insieme, la sua trilogia narrativa fornisce un resoconto ironico ma agghiacciante di cosa volesse dire essere un soldato nelle remote regioni asiatiche dell’ex impero sovietico nel momento insieme tragico e assurdo della sua dissoluzione.

Premi letterari:
Novy Mir Literary Magazine Prize (1995)
October Literary Magazine Prize (1997 e 2002)
Russian Booker Prize (2002)
Premio Solženicyn (2012)
Finalista Prix du Meilleur Livre Étranger (2012)

Nessun commento: