Susanne Wenger, nasce a Graz, in Austria. Muore nel gennaio 2009 a Oshogbo, in Nigeria, dove si era trasferita dal 1949. Susanne Wenger è stata un punto di riferimento nella cultura e nella tradizione religiosa dei culti yoruba. Era Susanne Wenger che innalzava templi alle loro divinità e addirittura era una sacerdotessa in alcuni di quei culti. Nel 2005 l'UNESCO ha riconosciuto la zona delle Sacre Grotte da lei costruite ad Oshogbo come patrimonio mondiale dell'umanità. Il libro “Susanne Wenger, artista e sacerdotessa” (Mef – Firenze Atheneum) rigorosamente con una sezione in italiano ed una in lingua inglese che ho ricevuto dall’autrice/curatrice Paola Caboara Luzzato narra le vicende di questa donna straordinaria.
La Luzzato che ha vissuto in Nigeria per ben dieci anni, ha avuto modo di conoscere la Wenger e dal 1972 ha cominciato la sua avventura di scrittura e redazione di tracciati, sensazioni, mondi che ruotavano attorno a questo personaggio singolarissimo e inquieto. Ora l’approccio metodologico a mio avviso seguito nella stesura dei contenuti di questo lavoro, è certamente da ricollegarsi a quello dell’antropologia culturale, ma senza ombra di dubbio posso asserire che la puntualità e il rigore adottati dall’autrice/curatrice non inficiano la bellezza e l’estrema fluidità con cui si legge il libro. Dunque si parla di una donna, un’artista, una sacerdotessa che incarna esattamente il senso di non appartenenza ad alcuna filosofia, dogma, o credo politico tipico degli artisti e intellettuali cresciuti tra la prima e la seconda guerra mondiale.
La Wenger si affida alla Luzzato in una testimonianza che ha molto di confessione auto/terapeutica, ma con tutta l’anticonvenzionalità di rigide categorie psicanalitiche a noi note soprattutto come tradizione junghiana e freudiana: ovvero questo suo parlare lo fa da donna, femmina, e mistica. Un libro che parla di una necessità atavica della Wenger a stabilire una sua propria identità, a cercarla, attraverso la ritualistica dei culti degli yoruba in un continuo oscillare tra pulsioni inconsce, subconscie e iperuraniche. Un lavoro splendido, che fa luce su un personaggio davvero immenso ancora tutto da scoprire (stefano donno)
La Luzzato che ha vissuto in Nigeria per ben dieci anni, ha avuto modo di conoscere la Wenger e dal 1972 ha cominciato la sua avventura di scrittura e redazione di tracciati, sensazioni, mondi che ruotavano attorno a questo personaggio singolarissimo e inquieto. Ora l’approccio metodologico a mio avviso seguito nella stesura dei contenuti di questo lavoro, è certamente da ricollegarsi a quello dell’antropologia culturale, ma senza ombra di dubbio posso asserire che la puntualità e il rigore adottati dall’autrice/curatrice non inficiano la bellezza e l’estrema fluidità con cui si legge il libro. Dunque si parla di una donna, un’artista, una sacerdotessa che incarna esattamente il senso di non appartenenza ad alcuna filosofia, dogma, o credo politico tipico degli artisti e intellettuali cresciuti tra la prima e la seconda guerra mondiale.
La Wenger si affida alla Luzzato in una testimonianza che ha molto di confessione auto/terapeutica, ma con tutta l’anticonvenzionalità di rigide categorie psicanalitiche a noi note soprattutto come tradizione junghiana e freudiana: ovvero questo suo parlare lo fa da donna, femmina, e mistica. Un libro che parla di una necessità atavica della Wenger a stabilire una sua propria identità, a cercarla, attraverso la ritualistica dei culti degli yoruba in un continuo oscillare tra pulsioni inconsce, subconscie e iperuraniche. Un lavoro splendido, che fa luce su un personaggio davvero immenso ancora tutto da scoprire (stefano donno)
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