martedì 7 ottobre 2008

SE CARAVAGGIO HA ASPETTATO 400 ANNI...di Maria Zimotti

A Roma è ottobre.
Sono quelle stagioni di mezzo in cui le città eterne danno il meglio.
Questa Roma di oggi è come Parigi del marzo di due anni fa.
Qui nel piazzale antistante la Galleria Borghese è il bianco che predomina, come al giardino delle Tuileries.
Con le dovute proporzioni.
Paris è sempre Paris, con la sua magniloquenza.
Le pietre eterne comunque, quelle dei monumenti, trattengono i ricordi.
E favoriscono il gioco dei rimandi.
Se guardo fisse le balaustre della terrazza e mi estraneo dal resto potrei essere di nuovo lì.
Assieme a lui però, non sola.
Ma qui oggi per me c'è anche l'emozione di un'attesa e il cuore mi batte.
Caravaggio l'ho lasciato a Parigi due anni fa.
Con il suo dipinto più bello: la morte della Vergine.
La nuca della Maddalena illuminata è di una tenerezza infinita.
E' la bruciante pietà umana di Caravaggio.
Al confronto del Louvre il Museo Borghese è un salottino ed è curato come una casa.
Subito al secondo piano, alla Pinacoteca.
Seguo il mio percorso personale.
Visito con calma e sono solo preliminari.
Perchè io ho un appuntamento oggi.
Alla fine di tutto, dopo aver messo alla prova le mie conoscenze sui vari stili, sentendo la commozione man mano fermarsi ogni tanto sul cupo Guercino o sulle belle veneziane di Tiziano mi accorgo che lui non c'è.
Non mi sono munita di guida ergendomi a cicerone di me stessa e alla fine del percorso nelle sale non ho trovato neanche un dipinto di Caravaggio.
Vedi la saccenza a cosa porta.
Scendo giù ed è un tripudio di sculture e di visitatori.
La scultura è più viva della pittura fende l'aria, abita l'aria.
Fende l'aria Proserpina ma la pietra la tiene.
Non si è liberata dal marmo più che dalle potenti braccia di Plutone.
Gli sfrontati putti del Bernini assomigliano tanto agli adolescenti che amava dipingere Caravaggio ma lui ancora non c'è.
Temo di essermi sbagliata, temo che magari anche stavolta ho avuto la sfortuna che i quadri che mi interessa vedere siano stati dati in prestito da qualche altra parte.
Finchè l'assembramento in una sala mi fa capire che sono lì.
Spezzettata in tanti quadri la sua furia non ha lo stesso calore della Morte della Vergine.
E' anche l'illuminazione.
Troppo sole per la Madonna dei Palafrenieri posta in un angolo vicino alla finestra.
E' una tela con dimensioni di un certo rispetto e come tutte le Madonne vuole essere al centro dell'attenzione.
E mi ricordo di un'altra Madonna che come una bambina timida stava al centro di una sala degli Uffizi.
La Maestà di Giotto è una Madonna semplice.
Arriva dal Trecento semplice gioioso e laborioso di Firenze.
Come una di quelle donne timorose di Dio dagli abiti semplici ti guarda franca senza peccato.
Così, arrivo ai dipinti di Caravaggio con la testa già da un'altra parte.
Colpa dei miei piedi stanchi ma anche di quel mio cuore che batte per l'appuntamento.
Vado sulla terrazza e mi arriva blando il profumo dei pini che costeggiano l'ombroso viale sterrato che parte dal Museo.
Devo incontrare un amico.
Uno di quegli amici che Internet permette di avere come nell'Ottocento.
I carteggi con la posta elettronica permettono questo.
Permettono incontri di anime senza sottoporsi ai rituali dettati dalla società.
Così ci incontriamo e in questi incontri la realtà è sempre diversa dall'idea.
O perlomeno è come la sala con le sculture e i visitatori.
E' l'idea che entra nel flusso della vita.
Ci parliamo ora con la nostra quotidianità, con il nostro timore di mostrare le nostre debolezze perchè dal vivo non si misurano le parole, cercando le migliori, non si può schiacciare il tasto Canc.
Poi ci si guarda negli occhi e si ritrova la nostra essenza, quella che ci ha portato a confidarci da mondi lontani.
E così Caravaggio ha aspettato quattrocento anni per il suo incontro con me.
Il mio amico ha aspettato di meno.
Potenza del villaggio globale.
Gli incroci di latitudini temporali e spaziali, quelli che si respirano nelle stazioni.
Le stazioni sono come i musei.
Luoghi eterni ma futuristicamente in perenne movimento.
Il mio amico mi abbraccia prima che io salga sul treno e il contatto è stabilito.
Il contatto con la realtà.
Ma sono sempre gli occhi che contano.
E' gentile e mi dice che i miei occhi parlano di me, di quello che sono veramente.
Come gli occhi infantili della Maestà di Giotto e gli occhi di Caravaggio nell'autoritratto come testa di Golia: gli occhi di chi ha penetrato il dolore della vita.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie Paola.
Maria Zimotti

Unknown ha detto...

Bellissimo leggerti.