martedì 27 gennaio 2009

Crolla la sfinge ... di Sara Sofia De Giorgi


Crolla la sfinge che diede i natali
ai vagiti della lingua
alle ombre vane
crolla la primigenia che diede fuori
pargoli voraci
e crollano le forme a cui mi rifacevo
sicura di un baratro occulto.
Ora resta piccola base di terra di pochi centimetri
da riempire con acqua di occhi
e spaghi di capelli.
Partono già i cortei sugli Appennini
sfiorano la costa aggrovigliata
e la marcia intona una colonna d’aria.


Che le somiglianze siano anche lì
nella cassa oblunga
che gli umori siano anche lì
tra l’olezzo marcio dei fiori?

fonte iconografica www.cedavmessina.it

giovedì 22 gennaio 2009

Il punto estremo del suono di Sara Sofia De Giorgi

Cantava arie antiche, minuetti del diciottesimo secolo, ma aveva anche una forte conoscenza della realtà intorno tanto da trattenere mentalmente piccoli segmenti di vita quotidiana per ricordarli nei luoghi e nelle occasioni più improbabili. Stava al pianoforte per ore ed ore, con una lunga vestaglia grigia e delle pantofole sobrie. Sul piano spesso giaceva languida una tazza da tè, che si tratteneva lì anche più giorni o mesi. Accanto allo strumento c’era il suo cane, un pastore maremmano, dai lunghi occhi con forma di fusi che anelavano al padrone e che lo seguivano nelle sue improvvisate estemporanee. Una parete a vetri era esattamente alle spalle del pianoforte. Da lì si poteva guardare il giardino che si risvegliava intontito ogni mattina, mentre il sole infallibile fiammeggiava sul prato. Suonava con una pulizia estrema e con una caparbia impressionante le Partite di Bach, ossessionato dalle sfumature ipercettibili che avrebbero potuto devastare il suono. Vivisezionava ogni nota e la spogliava di vibrazioni incomplete e di echi corrotti. Esplorava così la marginalità del suono, anche nelle particelle infinitesime, inebetito e orecchie tese, pronto alla modificazione istantanea della distorsione. Voleva acchiappare il falso, sterminare le slabbrature, concentrando tutto in melodia conforme, doppia solo a se stessa, iperrafforzata dalla millimetrica affondatura del tasto, incapsulare i vuoti in bombe sonore. Era il suo primo obiettivo: concentrarsi su una linea cristallina, come fosse di vapori sottili e cere pendenti, fragile e formata, minuziosa di sensi, composta da pareti vitree, incastrata tra lumi adamantini in morbida sintonia polare. La melodia veniva fuori come se fosse di materia improducibile, non partorita dalla terra, ma sottilmente chimica, una alchimia di forze impure e imbattibili, come una danza tra luci fredde e sideree. Le mani scorrevano elastiche e versatili, non più di ossa, nessun attrito, nessun incrocio di nervi contrastanti. Le vene erano tanto grosse che avrebbero potuto sembrare un reticolato in sostegno al corpo e il busto era ripiegato sulla tastiera con il volto che a volte sfiorava le mani. Ma nel complesso il portamento era quasi regale, da piccolo lord, da uomo di altri tempi e maniere, e lui quasi ignorava che qualcuno lo potesse guardare, tanto da rasentare il disgusto per eventuali ascoltatori. Ogni tanto si fermava, si alzava, faceva un giro risolutore intorno al piano e riprendeva la melodia certo e sicuro, come se avesse semplicemente interrotto un discorso. Suonava moltissimo e parlava pochissimo, d’altronde quando era piccolo gli avevano diagnosticato una forma leggera di autismo, che spiegava la scarsa vita sociale e le ore intense passate al pianoforte.
La sindrome di Asperger è un disordine pervasivo dello sviluppo imparentato con l'autismo e comunemente considerato una forma di autismo "ad alto funzionamento”. In generale si ritiene che si tratti di un tipo di autismo caratterizzato dalla difficoltà nelle relazioni sociali piuttosto che da un'alterazione della percezione, rappresentazione e classificazione della realtà, come nell'autismo classico.

Più o meno queste parole le aveva sentite ripetere spesso, o meglio continuamente, da dottori, amici, genitori; le aveva anche semplicemente lette sul dizionario, non soffermandosi mai troppo su esse. Spesso pensava a quello che gli aveva detto sua madre tanti anni prima, quando aveva cercato di spiegargli perché lui non poteva uscire molto spesso con i suoi coetanei. Le parole erano state pronunciate chiare e secche: “Den, tu non sai leggere tra le righe”. E lui ci aveva pensato per giorni e giorni, aveva perfino tentato di riprodurre sul pianoforte quelle parole, con la stessa incisività e con la stessa nettezza con cui erano state pronunciate. Ma per Den restava un mistero tutto ciò che navigava intorno a quella rivelazione e non riusciva a tradurre né con la musica né con la testa il significato di essa. Allora dall’adolescenza in poi si era fatto una ragione di quel subbuglio e aveva iniziato ad ignorare qualsiasi riferimento all’argomento.
Un giorno gli proposero di suonare per un nobile in una casa antica nella periferia di Toronto, lontana dal traffico della città e dal turbinio delle strade. Il conte Leopold Berthier era un uomo distinto che amava la musica. Den era entusiasta di andare lì tanto che scelse anche di vestirsi più elegantemente del solito. Il giorno prestabilito per il concerto si recò nella casa di Berthier ed entrò trionfalmente impettito, attirando l’attenzione della piccola folla che lo aspettava. La casa aveva le fattezze di un castello, una tenuta leggermente diroccata ma imponente e severa sullo sfondo di un cielo grigio e nuvoloso, la cui compattezza era interrotta da rami snelli e neri. La porta principale dava accesso immediato alla sala principale, che aveva un altissimo soffitto e al centro un lampadario di cristallo di Boemia che imponeva di essere ammirato prima di ogni altro oggetto. Avanzò lentamente e salutando cortesemente il padrone di casa, uomo dalla barba fosca e dagli occhi appuntiti. Salutò con un cenno distratto il pubblico composto da parenti e amici del nobile e si diresse verso il pianoforte a coda, immenso delfino nero con denti di avorio, apprestandosi a dominarlo. Si concentrò sulla tastiera e sentì la dentiera del delfino venirgli addosso, incitandolo a difendersi attraverso un uso sapiente delle mani. Doveva domare l’animale con il ritmo, pungolando con le mani gli aspri rettangoli neri e bianchi. Ogni volta che si sedeva al piano gli sembrava di dover decifrare un rebus sonoro e di subentrare solo dopo alcuni minuti in un gioco primordiale tra uomo e animale. Aveva la ferma intenzione di stemperare la rigidità della bestia musicale.
Si sedette di fronte allo strumento tra soffi di voci e mormorii di approvazione. Gli sembrava di udire i fruscii delle onde che si increspano e il fischio del vento attraversare violentemente l’aria salmastra. Guardò nuovamente la belva, dopo alzò lo sguardo e vide un orologio a pendolo dorato, con rifiniture violacee e nere. Percepito immediatamente il ticchettio dell’orologio, capì che era un 2/4 e che sul battere il pendolo oscillava esattamente su ognuno dei due lati del vetro. Pensò al tempo binario, a due accenti, al numero due in sé e alla compresenza di un’opposizione nel tempo, a una parte forte e ad una parte debole, e poi di nuovo ad un accento debole e ad un accento forte. Sentì nel suo corpo la suddivisione e la assimilò come se avesse divorato il pendolo. Iniziò a suonare. Pensò al tre, volle procedere per espansione e sovrapposizione ed incastrò sul tempo del pendolo un ¾, una misura ternaria. Anticamente la misura a tre tempi era considerata la misura perfetta per la sua analogia con la Ss. Trinità e veniva rappresentata graficamente con un cerchio, era il tempus perfectum. Lo sapeva bene Den. Continuò suonando un pezzo che si reggeva su una sovrapposizione di un tempo ternario su un tempo binario, consapevole di essere così arrivato al cerchio, a quello stesso cerchio che faceva fisicamente parte del pendolo. Dunque dal cerchio al cerchio, era facile.

In generale, coloro che sono affetti dalla sindrome di Asperger sono attratti dalle attività in cui si possa ritrovare un certo ordine, come le classificazioni, le liste e simili. Quando questi particolari interessi coincidono con un obiettivo materiale e socialmente utile, l'individuo può portare avanti una vita di successo: per esempio, il bambino con l'ossessione per l'architettura navale può crescere e diventare un ingegnere navale. Nello sforzo per soddisfare questi interessi, l'individuo con la sindrome di Asperger spesso manifesta ragionamenti estremamente sofisticati, un'attenzione pressoché ossessiva, una memoria focalizzata sulle immagini visuali e sui dettagli, detta "eidetica".

Den ora suonava, attentissimo al nitore del suono, alle immagini che venivano fuori dall’armonia complessiva, teso a disegnare un pendolo in tutti i suoi dettagli con note appuntite e fini, precise e nette, a riprodurre le rifiniture e a colorarle di nero e di viola. I suoni si agglomeravano e si comprimevano, come poteva avvenire nell’assemblaggio dei pezzi di un oggetto da parte di un artigiano poco distratto o semplicemente come nel mistero degli atomi che formano la materia, senza alcun intervallo rilevante, se non quello determinato dal confine della forma stessa con il nulla, con l’aria. Den sentiva le note risalire dal centro del suo ventre e trovare un baricentro all’altezza dei tasti, dava loro poi un ordine, una sistemazione, un posto nell’universo, non le lasciava mai sfumare irrisolte. Mai le disperdeva come si disperdono gli effluvi primaverili o il fumo grigio d’un comignolo, le tratteneva e le comprimeva nella memoria, non permetteva l’annullamento. Agiva sempre come se avesse voluto ridimensionare a tutti i costi il naturale annullamento di materia gassosa-musicale, trascinando i segmenti sonori in magnifiche e fasulle opere d’arte figurativa. Oggetti, quadri, piante erano le sue riproduzioni preferite. Le note disegnavano con attenzione i dettagli, gli orpelli, l’inessenzialità della materia, quasi a volerne estirpare l’aspetto irriproducibile e autenticare il surplus. Le mani erano voraci e prensili, come di lattice, morbide e flussuose, ma avevano anche una certa risolutezza che non concedeva alcun logorio inutile o sporcizia vana.

Le persone autistiche hanno risposte emotive forti come le persone comuni o forse ancora più forti, sebbene quello che genera una risposta emotiva può non essere sempre la stessa cosa. Quello che manca a loro è un'innata abilità di esprimere i loro stati emotivi con i gesti, il linguaggio corporeo e l'espressione facciale. Molte persone con la sindrome di Asperger si sentono a disagio nel loro distacco involontario dal mondo comune; manca loro la naturale abilità nel capire ciò che non viene detto esplicitamente nelle relazioni sociali e in pari modo essi hanno difficoltà a comunicare con accuratezza il loro proprio stato emotivo.

Den quella sera conobbe una donna. Ella si avvicinò al termine del concerto, quando il pubblico già frusciava di ammirazione e applaudiva estasiato. Fu Lilian a rivolgergli la parola. Bianca ed esile, apparve nella sua immagine carica di luce, pesante di oro in accumulo sul collo. Den pensò che potesse essere trascinata giù al centro della terra dal peso spropositato della collana aurea ancor prima di aprire bocca. Invece il corpo resse e ne uscì una voce graffiante: - Buonasera. La sua musica è sublime. Mi ha ricordato i campi della Bretagna ove ho trascorso la mia infanzia.
Den la guardò per qualche secondo, cercando di focalizzare il volto di un’austerità che copriva ogni possibile smorfia di dolcezza, e le rispose: - Buonasera. La Bretagna è un gran bel posto. Non credo che ci andrò mai. Ma avrebbe un quadro di questi campi? E la donna: - Certo. Ho molti dipinti. Potrei invitarla nella mia casa per mostrarglieli, sarei onorata se le andasse di suonare.
Den accettò sospeso ancora nell’immagine del pendolo, non troppo cosciente di sè e la donna gli diede un appuntamento per il giorno dopo. Aveva avuto una percezione di familiarità, di unione, aveva pensato al volto niveo femminile come ad uno specchio ovale sonoro, privo però di riflesso, con una grande capacità di accogliere la luce e di trattenerla. Aveva udito nella voce della donna il rumore di un vetro che si infrange sul pavimento e adesso echeggiava nella sua testa un filamento musicale che proveniva da cristalli color ambra spinti dal vento, i quali si erano incontrati sotto la testa di un grande lampadario a cascata. Note così alte erano state emesse solo da sua madre e le aveva udite solo da lei. Ora ritrovava lo stridere delle porte antiche di ferro nella donna sconosciuta, come anche il canto della civetta e assieme a questo il fruscio del bosco, alto e sibilante.
Il giorno dopo Lilian lo accolse con un grande sorriso nella sua casa ma lui non disse una parola. Si sedette immediatamente al pianoforte. Aveva in testa la voce della donna e quella della madre. Il pubblico discreto nel numero attendeva la sua esecuzione. L’aria fremeva di vibrazioni embrionali. Den appoggiò un dito su tasto dell’ultima ottava del pianoforte. Ne uscì una flebile nota acuta. Continuò ininterrottamente a toccare il tasto con una pressione moderata, producendo un sottile e sommesso suono intervallato da piccole pause. Questa volta la lotta con il pianoforte era anche la lotta con la donna. Trovò la melodia. Continuò a suonare incalzando sui tasti delle ultime due ottave, disegnando un’impalcatura sottile ed eliminando qualsiasi accenno roboante e cavernoso delle prime ottave. Dall’impalcatura sgorgò una serie di frasi veloci e galoppanti, leggere e fluttuanti. In quel momento sentì l’essenza della donna che lo guardava tra il pubblico estasiata. Un’essenza apparentemente morbida, sinuosa, complessissima, reggentesi su note acute e taglienti come armi, tanto alte quanto grottesche. La musica gli provocava visioni di monti e castelli di vetro in pezzi prodotti per gemmazione, che proliferavano alla velocità della luce per diventare verso l’alto neri e rossi.
Altezza e fragilità. Totali. Pensò che sarebbe bastato sottrarre una nota, una sola nota per far cadere il monte di cristallo. Ebbe un sussulto. Non smise però di suonare. Percepì che era possibile con un solo errore smontare un’opera complessa e continuò fino alla fine, finchè l’altura non si assestò bene nella sua immaginazione. Poi finì. Una valanga di applausi lo coprì. La donna si alzò e si complimentò con lui. Den annuì senza proferire parola e riconobbe in Lilian i tratti della madre. Pensò che fosse proprio sua madre. La guardò a lungo, raccogliendo la naturale austerità del volto come un’offesa. Poi la salutò e andò via, appesantito da una sensazione di irreversibilità. Aveva raggiunto un punto estremo, da cui non si torna facilmente indietro. Si ripromise di non smuoverlo più, di non sollecitare più quella visione. Almeno per qualche tempo.


su concessione dell'autrice

martedì 20 gennaio 2009

Patrizia Valduga interpretata da Mimmo Pelini




« Io sono sempre stata come sono
anche quando non ero come sono
e non saprà nessuno come sono
perché non sono solo come sono »
(Patrizia Valduga, Quartine - Seconda centuria, Einaudi 2001)

Patrizia Valduga è nata a Castelfranco Veneto. Dopo il Liceo scientifico si è iscritta alla facoltà di Medicina che ha frequentato per tre anni. È poi passata alla facoltà di Lettere a Venezia dove ha seguito per quattro anni i corsi di Francesco Orlando ("incontro fondamentale nella mia vita" [1]).

È stata la compagna di Giovanni Raboni per ventitré anni e a lui ha dedicato la postfazione dell'ultima raccolta del poeta scomparso, Ultimi versi, pubblicato dall'editore Garzanti nel 2006. Vive tuttora a Milano. Le sue idee politiche contaminano parte dei suoi scritti.

posted on youtube by tatusc

giovedì 15 gennaio 2009

Donne e U.F.O




E chi dice che di U.F.O se ne occupano solo gli uomini? I nominativi del gentil sesso qui sotto riportati, che si occupano da tempo di scoprire gli arcani e la fenomenologia legata agli extraterrestri, fanno parte sia della rivista diretta da Roberto Pinotti, Notiziario U.F.O, sia del C.U.N. (Centro Ufologico Nazionale)
http://www.cun-italia.net/



Cristina Aldea, Lidia Parentelli, Linda Howe, Maria Sullivan, Liala Graziano (C.U.N. Piemonte), Paola Giallonco, Simona Camiolo, Elisa Maccari (C.U.N Toscana), Cinzia Caiani (C.U.N Liguria),
Raffaella Palanga, Valentina Iacocagni (C.U.N Umbria), Susanna Urbani (C.U.N Lazio), Federica Di Benedetto(C.U.N Abruzzo e Molise); Santa Panduri (C.U.N Calabria), Danila Zappalà (C.U.N Sicilia).

NOTIZIARIO UFO del Centro Ufologico Nazionale dal 1966
Organo ufficiale del CUN periodico mensile
Acacia edizioni
Direttore Responsabile: Roberto PINOTTI

domenica 11 gennaio 2009

Le mie opere e Stefania Carrozzini per "The Portable Show" alla Broadway Gallery di New York





















Dall'1 al 15 dicembre 2008, alcune mie opere sono state esposte alla Broadway Gallery
di New York nell'ambito della rassegna "The Portable Show" curata da Stefania Carrozzini, operazione dell'I AM (International Art Media). Una mostra che ha ottenuto non solo un grande successo di pubblico ma numerosi apprezzamenti della critica d'arte specializzata newyorkese. Vi presento alcune foto (in una viene ritratta la curatrice Stefania Carrozzini)della galleria e di alcune delle mie opere.

Paola Scialpi

giovedì 8 gennaio 2009

Rina Durante. Un ricordo di Mauro Marino

Due libri di recente uscita raccontano di Rina Durante! Ce n'era bisogno!
Che, da quando Rina è scomparsa, poco è accaduto. I soliti tira e molla, i niet e i “che cosa ci guadagno” regolano la vita di un autore dopo la sua morte. Al massimo quello che può capitare è un opera 'in memoria'! Compilation di ricordi e di fraterne nostalgie. Capita per tutti. Ti viene da pensare quando valuti e pensi all'eccesso di tutela che i nostri autori subiscono, una volta scomparsi, loro, che mai si sono tutelati: vitalisti e generosi, anarchici nel loro non appartenere.
Ti viene da pensare! Da fare testamento e decidere prima della dipartita a chi ogni rigo che hai scritto deve andare, che fine deve fare, chi lo dovrà pubblicare! Se no, cala il sipario e amen! Definitivo! Neanche una parola di quelle che hai speso, scritto, pubblicato, ritorna! Che fatica e che dispiacere perdere tanta bellezza!
Pensate all'introvabile “La malapianta”, pubblicato da Rizzoli e vincitore del premio Salento nel 1965 (quando il premio aveva un senso). Un romanzo preziosissimo! Ogni volta che qualcuno me lo chiede in prestito rimango col fiato sospeso: dovrò fidarmi!, se voglio che quella meraviglia abbia altri occhi...
A questo vuoto hanno provato a dare un 'senso' un gruppo di studentesse del Liceo Scientifico Statale “Antonio Vallone” di Galatina con “Rina Durante, la scrittura delle radici” una ricerca collettiva - coordinata dalle professoresse Luce Maria Cudazzo e Francesca Fedele, pubblicata dall'editore Progedit di Bari - e Clelia Ancora che in “Istantanee d'autrice- Rina Durante” (Editrice salentina) traccia un inedito e realistico ritratto a più voci della scrittrice salentina.
Opere nelle corde di Rina, militante di un’idea di cultura partecipata, testimoniale, al servizio della piena valorizzazione delle culture subalterne. Uno sguardo, il suo, volto al narrare, capace di andare all'intimo, formatosi in anni e anni spesi con energia e curiosità. Sempre, fino alla fine!
“Fare il poeta, ma anche lo scrittore, è faticoso, perché è una grande fatica trovare la verità di tutti, ma ancora di più dirla a tutti. In un mondo che rinuncia al proprio volto, che fa di tutto per mistificarsi... Il poeta, oggi, ha questo dovere di deludere, gridando alta la sua verità”, scriveva nel 1980 sul ‘Caffè greco’, il fascicolo unico di letteratura di Antonio Verri, rivolgendosi ai “giovani poeti”. Il suo impegno, la sua conoscenza, la sua ironia, la sua sagacia critica, la sua arguzia intellettuale hanno servito un “movimento” mai sazio di maestri, capace di ascoltare quando trova sapienza ed umiltà.
Ascoltavo pochi giorni fa Emanuele Licci cantare “La quistione meridionale”, una delle canzoni di Rina, e l'emozione m'ha preso. Com'è sottile e calibrata la composizione, ogni parola porta in sé melodia, rabbia, disincanto. O “Luna otrantina”, l'avete mai gustata sino in fondo? Con i colori, i rumori, i silenzi che chiamano all'intensità della Storia? Sensibilità unica e capace, accogliente così tanto da farsi carico dell'intero sentire d'una terra. La sua intensità, il suo sotteso po-etico che appartiene al Mondo.
Qualcuno m'ha detto stamattina che questa terra non ha artisti! Un po' snob, il signore! O cieco, o sordo! Come fare a non accorgersi dello slancio di questa terra nel darsi espressione, interpreti, autori? Meglio non dare risposta e lasciare gli ignavi al loro nulla.
Un terzo lavoro su Rina Durante sappiamo in incubazione, lavorato dalla pazienza certosina e dalla volontà di Pino Sansò, prezioso perchè riporta alla luce novelle e piccoli reportage che Rina pubblicò sulla Gazzetta del Mezzogiorno negli anni sessanta. Finalmente la sua scrittura! Altrettanto potrebbero fare gli amici del Quotidiano di Puglia e del Corriere del Mezzogiorno…

(Il fotogramma è tratto dal film 'Come farò a diventare un mito' di Caterina Gerardi)

fonte www.salentopoesia.blogspot.com

domenica 4 gennaio 2009

MONICA SILVA - LIFE ABOVE ALL





















ARTE FIERA OFF
BOLOGNA, 22 - 26 GENNAIO 2008


LIFE ABOVE ALL
FOTOGRAFIE DI MONICA SILVA da l’Antologia di Spoon River




Le opere di MONICA SILVA selezionate per l’evento di ARTE FIERA OFF costituivano il corpus centrale della mostra Life Above All, liberamente ispirata ai personaggi dell’Antologia di Spoon Rriver del poeta americano Edgar Lee Masters e tenutasi dal 18 settembre al 23 ottobre da MAZZOLENI ARTE – Milano.
Gli scatti di Monica Silva sono caratterizzati dall’uso di colori dal forte impatto emotivo in modo da sottolineare il paesaggio interiore del personaggio ritratto, messo in posa in ambientazioni eloquenti, scarne e al tempo stesso ricche di particolari come in un raffinato gioco di incastro in cui tutto è ugualmente imprescindibile. I personaggi descritti nei testi vengono interpretati con rara sensibilità dalla fotografa che, come sottolinea il titolo della mostra, per comunicare il messaggio che le ha trasmesso l’opera di Masters ha scelto come soggetti non persone anziane ma giovani nel pieno della loro vita: testimonianza dell’imperitura energia vitale.
Life Above All è opera prima da artista dell’autrice, finora nota in Italia e all’estero per i suoi intensi ritratti di volti noti dello spettacolo e della musica, nonché per i reportages pubblicati in note riviste di viaggio. Non che finora il suo lavoro non fosse artistico, semplicemente non era il risultato di un progetto che, come questo, partisse da una sua esigenza personale oltre che artistica: quella di dare un corpo ed un volto – anche psicologico – a quegli spaccati di umanità che hanno popolato l’infanzia di Masters nella provincia america del Mid-West all'inizio del XX secolo.


DATE:
22 – 26 Gennaio 2009. Le fotografie resteranno esposte fino al 9 Febbraio 2009
SEDE:
I Portici Hotel – Via Indipendenza, 69 – Bologna www.iporticihotel.com/
INFORMAZIONI:
Monica Silva info@monicasilva.it www.monicasilva.it
Mazzoleni Arte – Via G. Morone, 6 – Milano
tel +39 02 795026 - valeria@mazzoleni-arte.com


UFFICIO STAMPA

LIFE ABOVE ALL:

ANNA ORSI
STEFANIA SCHINTU
cell. 335 6783927
tel./fax 0289010225
cell. 347 0082416 fax 010383756
anna.orsi@alice.it
anna.orsi@pressart.eu i
nfo@stefaniaschintu.it
www.stefaniaschintu.it

sabato 3 gennaio 2009

Simone De Beauvoir



posted on youtbe by celeris100

« Di me sono state create due immagini. Sono una pazza, una mezza pazza, un'eccentrica. [...] Ho abitudini dissolute; una comunista raccontava, nel '45, che a Rouen da giovane mi aveva vista ballare nuda su delle botti; ho praticato con assiduità tutti i vizi, la mia vita è un continuo carnevale, ecc.
Con i tacchi bassi, i capelli tirati, somiglio ad una patronessa, ad un' istitutrice (nel senso peggiorativo che la destra dà a questa parola), ad un caposquadra dei boy-scout. Passo la mia esistenza fra i libri o a tavolino, tutto cervello. [...] Nulla impedisce di conciliare i due ritratti. [...] L'essenziale è presentarmi come un'anormale. [...]
Il fatto è che sono una scrittrice: una donna scrittrice non è una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza è condizionata dallo scrivere. E' una vita che ne vale un'altra: che ha i suoi motivi, il suo ordine, i suoi fini che si possono giudicare stravaganti solo se di essa non si capisce niente. »

(S. de Beauvoir, La forza delle cose, pag.614)