martedì 23 marzo 2010

Maria Beatrice Protino parla di Roy Fox Lichtenstein: «È lui il peggiore pittore del mondo?»


















La rivista statunitense “Life”, nel 1964, aprì con un ampio servizio su Roy Lichtenstein intitolato: «È lui il peggiore pittore del mondo?». Oggi i suoi pezzi sono nei più grandi musei del mondo e il valore del suo lavoro non è più controverso, anzi lo hanno reso uno dei maggiori esponenti della pop art americana.

La Triennale di Milano dedica una mostra antologica con dipinti, disegni, collages e sculture- curata da Gianni Mercurio che nel mese di luglio sarà trasferita al Ludwig Museum di Colonia, dove rimarrà aperta al pubblico fino al 3 ottobre 2010.

La pittura del cartoon

Il suo trucco consisteva nel rendere attuale il realismo copiando non le cose, ma le copie che ne offre la stampa.

Amante della pittura di Picasso e della pittura di storia e d’impegno come quella di Daumier, ha poi scelto il cartoon. Come raccontano le sue biografie, sulla sua attività influirono alcune attività che lo misero in contatto con le immagini del consumismo: lavorava come vetrinista, disegnatore di loghi e di design. Amico di pittori elitari come Pollock e De Kooning, rimaneva fortemente legato alle immagini del suo quotidiano sino a sublimarle. Al contrario di Warhol, L. rappresenta quel filone della Pop Art che non mirava a puntare il dito sull'universo dei consumi come un mondo dominato dall’alienazione dei soggetti.

La svolta del 1961

Fu nel 1961 che si presentò al gallerista Leo Castelli, il più grande della recente storia americana, con un quadro che richiamava un fumetto. Da quel momento nacque il pittore delle immagini gigantesche tratte dai fumetti e da lui reinventate: L. isolava e ingigantiva fumetti celebri oppure riproduceva capolavori dell’arte antica e moderna –spesso dissacrandoli- attraverso una semplificazione formale propria della grafica pubblicitaria.

Il suo racconto snocciola miti lontani usando il linguaggio dei media, senza mai prendere posizione, senza mai sognare uno stravolgimento dei valori correnti.

La sineddoche visiva fu il tratto più costante della sua produzione: la capacità di trasformare una parte per il tutto e viceversa, si pensi al dipinto intitolato “Frolic”, del 1977, in cui l’occhio di una ragazza si fonde con la sua stessa lacrima e viene sormontato da una ciocca di capelli biondi. Quel suo modo di operare, così originale e considerato divertente -come l’utilizzo della carta bucherellata che gli servivano per dipingere i puntini e simulare il retino tipografico del fumetto- fece conoscere al mondo un uomo che rese l’estetica del consumo un linguaggio artistico.

*powered by www.ripensandoci.com

Nessun commento: