domenica 9 ottobre 2011

Daniela Pispico consiglia "La peronospera" di u Papadia in Piazza del popolo a Copertino























Ass. Mad Management, Lupo Editore, Ass. Nubes con il patrocinio del Comune di Copertino  presentano il nuovo Cd "La peronospera" di u Papadia in Piazza del popolo di Copertino, Domenica 9 ottobre 2011 ore 21. Per tutti ma non per pochi dunque … evento gratuito!

Recensione di 'u Papadia LIVE - Di Stefano Mannucci (Il Tempo)

Si è caricato sulle spalle un fardello mica da ridere. Non solo i tamburelli e ogni altra sorta di percussione, ma soprattutto i coperchi. Perchè Umberto sa che il diavolo devi prima fartelo amico, se vuoi combatterlo e poi guarire da certe malattie. E la malattia che ’u Papadia sente dentro di sè è forse inguaribile, ma di certo antica come la sua terra, quel Salento che brucia di passione e di dolore, una terra calpestata da troppe scarpe straniere, ostili, affamatrici. È una sorta di indolenza, quella, che colpisce un popolo troppo spesso umiliato, ma indomabile: un’apatia, un affaticamento dello spirito e del corpo, un blues mediterraneo che ti fiacca e ti spinge a reagire, a trovare una cura per una perenne inquietudine, la speranza di una salvezza personale e collettiva, il ritorno in un luogo da poter chiamare casa. Papadia si schermisce. Dice: «Sono l’unico possibile interprete di me stesso», ma la sua è una giocosa menzogna. Il suo giocare al ribasso è solo un modo di denunciare lo straniamento dalle proprie origini, ma non una reale solitudine. Umberto canta, urla, balla e fa ballare perchè tutti, salentini e non, affrontino quella malattia. Che per lui, come suggerisce il titolo del suo cd (uno dei più riusciti nell’intero panorama musicale italiano degli ultimi anni) è "La peronospera". Una patologia che non mina solo la salute delle piante (con conseguenze drammatiche per l’agricoltura e per il fabbisogno alimentare delle popolazioni interessate), ma anche, come si diceva, le persone. La gente. Quelli come u’Papadia, certamente, nato in Germania da genitori immigrati, e che ricorda un’infanzia in cui "gli italiani" erano trattati peggio di certi viaggiatori della speranza che oggi arrivano sulle nostre coste dall’Africa. In chiave più universale, le sue canzoni rappresentano tutti coloro che si sentano esuli, privi di una radice salda su un humus fertile. Papadia è spiazzato, confuso, incupito, ma privo di ogni autocompiacimento negativo: ed ecco che il suo formidabile concerto si trasforma in un rito salvifico, in una redenzione, in una catarsi permeata di rabbia ma illuminata dall’ironia, e immersa nell’eros che solo le donne salentine possono offrire, le "tarantolate", discendenti di altre donne che mentre mietevano il grano venivano morse da un animale mitico, leggendario, inafferrabile, quasi certamente inesistente, la taranta appunto, che le faceva muovere in modo isterico, posseduto, demoniaco, finchè la musica, il battito, lo "spricolamento" non trovava la giusta vibrazione, il ritmo, l’invocazione pagana per liberarle, svegliarle, restituirle a una plausibile condizione sociale. Muovendosi lontano da certe tentazioni freddamente etnomusicologiche, lo show di Papadia gioca sull’innovazione, sull’invenzione, su una neo-tribalità che non può non conquistare anche il più scettico degli osservatori. Una fantasmagoria "povera", fatta di strumenti occasionali ma straordinariamente efficaci: come quei coperchi dove cerchi di percuotere il diavolo, finché non lo spingi a liberarti per sempre da vecchie e nuove ossessioni.

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