lunedì 15 settembre 2008

Babsi Jones vista da Rossano Astremo

Quattro donne sotto assedio a Mitrovica, in Kosovo, durante il conflitto più dimenticato della storia moderna: la guerra fratricida nella ex Jugoslavia. Un’inviata scrive al direttore della testata per cui lavora pagine di un reportage che mai sarà spedito. Ci sono passi di rara bellezza in Sappiano le mie parole di sangue, l’esordio di Babsi Jones, edito da Rizzoli, nell’onnivora collana 24/7, pagine in cui Mitrovica diviene la parte di un tutto, luogo del tragico che s’annida in ogni guerra. E’ questo spazio tragico che l’io narrante di slmpds cerca di mettere in scena, attraverso l’accumulo di parole su un taccuino prezioso, ultimo oggetto da custodire assieme ad una copia sdrucita dell’Amleto tradotto da Cesare Garboli. Ma le parole non possono raccontare una guerra. Il reportage non verrà mai spedito perché è un manufatto che non rende giustizia a ciò che gli occhi vedono, a ciò che la bocca assapora, a ciò che il corpo sente.Ed ecco che Babsi Jones costruisce un quasiromanzo nel quale si sente fortemente l’influenza della teorie elaborate da uno dei grandi maestri della letteratura del Novecento: William Burroughs.Il Verbo è il male assoluto, ciò attraverso cui niente può sfuggire all’essere dell’identità: Burroughs postula un rovesciamento della logica implicita in ogni ontologia. Attraverso l’essere, l’uomo è prigioniero della lingua, definitivamente separato dal “teatro biologico”. Egli è contaminato dal virus del linguaggio. I suoi libri compiono una mirabolante descrizione di questa contaminazione. Il conflitto manicheo che vi si trova sempre soggiacente è quello del corpo contro il “meccanismo verbale”, che lo rende estraneo a se stesso. Per sfuggire all’intossicazione prodotta dalle parole, al quadro di controllo che, imponendo delle linee associative, rafforza questa possessione, lo scrittore deve rompere il cerchio magico, spezzare le tavole della legge associativa, confondere le piste discorsive per uscire dall’algebra del bisogno e abolire la dipendenza assoluta dalla funzione asservitrice della comunicazione linguistica.Babsi Jones ha scritto il suo quasiromanzo tenendo ben presente l’insegnamento di Burroughs. Decostruire dall’interno il linguaggio, depotenziarne il suo quadro di controllo. L’inviata non spedisce il suo reportage perché il genere è un insulso meccanismo di soggetti-verbi-complementi inadatti a sprigionare l’orrore della guerra. La guerra, ogni guerra, è indescrivibile, inenarrabile. Sappiano le mie parola di sangue è la rappresentazione di questo fallimento narrativo. Le parole non dicono, sono stracci lacerati dai quali zampilla liquido di morte.

La funzione Burroughs in Sappiano le mie parole di sangue, di Rossano Astremo
da www.vertigine.wordpress.com

2 commenti:

Giuseppe Bovino di Borbone ha detto...

Una guerra questa da te rappresentata che avevamo a due passi e le cui vittime sono anche sulla nostra coscenza, visto che l'Italia ha fatto ben poco.

paola scialpi ha detto...

Grazie per il tuo commento. La guerra a qualsiasi latitudine di senso la si voglia intendere è orrore. Non ci sono argomentazioni che tengano... soprattutto per tutti quegli scheletri nell'armadio che la Storia custodisce gelosamente